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DiRaffaele Boccia

Il conduttore che prima comunica il recesso e poi non vuole lasciare la casa

Gentile Avvocato, il mio inquilino mi comunicava con raccomandata di voler recedere dal contratto con il preavviso di sei mesi. Scaduti i sei mesi, è ancora in casa e non accenna ad andarsene, nonostante io avessi già preso impegni con altra persona per l’affitto. Posso sfrattarlo? Che tempi ci sono? Posso chiedere i danni? Grazie (Gianni, email)

Salve.

II procedimento per convalida di licenza per finita locazione  non è azionabile non ricorrendone i presupposti previsti dal legislatore, tra i quali non c’è la ipotesi del recesso esercitato dal conduttore.

In questo caso, deve esercitarsi un’azione di intervenuta risoluzione del contratto per esercizio dei diritto di recesso unilaterale (a norma dell’art. 1373 c.c.).

La citata conclusione è coerente con la legge n. 392 del 27 luglio 1978 che all’art. 4 prevede che, se la facoltà di recesso non è attribuita al conduttore da specifiche pattuizioni contrattuali, potrà comunque esser esercitata ove ricorrano gravi motivi: proprio la loro sussistenza non potrebbe in alcun modo esser valutata e apprezzata in un procedimento a struttura sommaria qual è quello di convalida di finita locazione.

La differenza di azioni comporta sicuramente una notevole differenza in termini di tempi, in quanto la procedura per convalida di sfratto, che ha natura sommaria, è particolarmente rapida (l’udienza può essere fissata a venti giorni dalla notifica e la convalida, ricorrendone i presupposti, viene disposta già in prima udienza). Altra cosa sono poi i tempi per ottenere coattivamente la liberazione dell’immobile, che dipendono anche dalla solerzia dell’Ufficiale Giudiziario.

Per l’azione di risoluzione, invece, deve instaurarsi un ordinario giudizio di cognizione che ha certamente durata più lunga (i tempi variano da Tribunale e Tribunale e non è possibile fare una previsione, ma siamo sempre nell’ordine di qualche anno).

In merito alla questione dei danni, dovrebbe poter dimostrare che aveva già concluso altro contratto di locazione con un canone maggiore.

DiRaffaele Boccia

Deposito cauzionale nella locazione: chi lo restituisce in caso di successione di proprietari

Il mio inquilino mi ha comunicato che lascerà l’appartamento per motivi di lavoro, dandomi un preavviso di cinque mesi. Mi chiede anche la restituzione della cauzione, che però ha dato al vecchio proprietario, avendo io acquistato la casa quando già il contratto di locazione era in corso. Ma devo restituirla io o il vecchio proprietario? Grazie (Donato, email)

Gentile signore, in relazione al deposito cauzionale, nel caso di alienazione dell’immobile locato, l’acquirente subentra nei diritti e negli obblighi nascenti dal contratto di locazione, e così anche nell’obbligazione di restituzione del deposito cauzionale versato dal conduttore, a nulla rilevando che il venditore non abbia consegnato il relativo importo al momento del trasferimento di proprietà.

Infatti, può presumersi che l’importo della cauzione sia stato considerato in sede di pattuizione del prezzo di compravendita dell’immobile e solo se dall’atto di acquisto risulta che il venditore si è impegnato a corrispondere questa somma al conduttore lei potrà ritenersi liberato da questo obbligo. Diversamente, sarà lei a pagare, salvo il suo diritto di ritenere la cauzione in caso di danni all’immobile.

Va pure detto che il preavviso di cinque mesi che ha ricevuto non è regolare. Esso, se previsto in contratto, deve essere almeno di sei mesi; se non previsto, deve essere sempre di sei mesi e sorretto da gravi motivi. Il che significa che lei avrebbe diritto a vedersi pagato il canone per i sei mesi successivi alla ricezione della comunicazione. Dunque, lei potrebbe concordare con il conduttore la restituzione di una sola mensilità della cauzione (che, salvo patto contrario, è produttiva di interessi), imputando l’altra ad indennità per mancato preavviso.

DiRaffaele Boccia

Il conduttore può recedere per gravi motivi dalla locazione

Gentile avvocato, il conduttore può recedere dal contratto di locazione prima della scadenza effettiva, se nel contratto non è prevista questa possibilità ? Paolo

Indipendentemente da quanto previsto nel contratto di locazione, la legge consente al conduttore di recedere dallo stesso in presenza di gravi motivi (art.4 e art.27 L.392/78). Questo sia per locazione abitative che ad uso diverso.

I gravi motivi che legittimano il recesso non possono attenere alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dallo stesso conduttore in ordine all’opportunità o meno di continuare ad occupare l’immobile locato, poiché, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso ad nutum, contrario all’interpretazione letterale, oltre che allo spirito della legge.

Al contrario, i gravi motivi devono sostanziarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto ed inoltre devono essere tali da rendere oltremodo gravosa per lo stesso conduttore, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo.

Un esempio piuttosto ricorrente potrebbe essere quello del trasferimento del conduttore in altro comune resosi necessario per motivi di lavoro (trasferimento ad altra sede aziendale), ovvero, come in un caso all’esame del Tribunale di Bari (sentenza 2383/2004), quello della presenza in alcuni ambienti dell’appartamento locato di vistosi fenomeni di umidità e di condensa tali da compromettere la salubrità degli ambienti stessi.

Per locazioni ad uso non abitativo, è stato ritenuto legittimo il recesso in caso di mancata realizzazione di un progettato centro commerciale (all’interno del quale erano ubicati i locali oggetto di locazione) che aveva imprevedibilmente fatto sfumare l’atteso sviluppo commerciale della zona, ovvero in presenza di un andamento della congiuntura economica sopravvenuto ed oggettivamente imprevedibile (sia favorevole che sfavorevole all’attività di impresa) che obblighi il conduttore ad ampliare o ridurre la struttura aziendale (situazione che rende gravoso il persistere della locazione).

In ogni caso (abitativo e non), il conduttore è tenuto a dare preavviso di sei mesi al locatore a mezzo lettera raccomandata con l’indicazione specifica del grave motivo.

DiRaffaele Boccia

Il fermo amministrativo

Il fermo amministrativo è un atto con il quale le amministrazioni o gli enti pubblici (Comuni, INPS, Regioni, ecc.), tramite i concessionari della riscossione, “bloccano” un bene mobile del debitore iscritto in pubblici registri (ad esempio autoveicoli) o dei coobbligati, al fine di riscuotere i crediti non pagati che possono riferirsi a tributi o tasse (può trattarsi di un credito di varia natura, ad esempio, un mancato pagamento IVA, IRPEF, Bollo auto, ICI, ecc…) oppure a multe relative ad infrazioni al Codice della Strada.

Iscrizione e conseguenze del fermo amministrativo

In caso di mancato pagamento della cartella esattoriale nei termini di legge, il concessionario della riscossione può disporre il fermo dei veicoli intestati al debitore, tramite iscrizione del provvedimento di fermo amministrativo nel Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

A seguito dell’iscrizione del fermo la disponibilità del veicolo è limitata fino a quando il debitore non saldi il proprio debito e provveda a cancellarne l’iscrizione dal PRA.

Il veicolo, infatti:

  • non può circolare: se circola è prevista una sanzione che va da euro 714 a euro 2.859. È disposta, inoltre, la confisca del veicolo;
  • non può essere radiato dal PRA: non può essere demolito od esportato;
  • anche se viene venduto, con atto di data certa successiva all’iscrizione del fermo, non può circolare e non può essere radiato dal PRA.

Inoltre, se il debitore non paga, il concessionario della riscossione potrà agire forzatamente per la vendita del veicolo.

Cancellazione del fermo amministrativo

Per la cancellazione del fermo occorre presentare a un qualsiasi ufficio provinciale del Pubblico Registro Automobilistico (PRA):

  • il provvedimento di revoca in originale (rilasciato dal concessionario della riscossione dopo aver saldato il debito per il quale il fermo è stato iscritto) contenente i dati del veicolo, del debitore e l’importo del credito di cui si chiede la cancellazione;
  • il certificato di proprietà (CdP), sul cui retro compilare la nota di richiesta, o il foglio complementare;
  • il modello NP-3 (se non si utilizza il CdP come nota di richiesta).

A seguito dell’esito positivo della richiesta, viene cancellato il fermo amministrativo e viene rilasciato un nuovo certificato di proprietà.

Casi particolari: errore del concessionario e vendita anteriore all’iscrizione del fermo

Se il fermo amministrativo è stato iscritto erroneamente, perché basato su una somma non dovuta dal contribuente (sgravio totale per indebito), il concessionario della riscossione provvede a richiedere al PRA la cancellazione gratuita dell’iscrizione del fermo.

Se il veicolo è stato venduto con atto di data certa anteriore all’iscrizione del fermo, dopo aver trascritto il passaggio di proprietà al PRA, il concessionario della riscossione, a seguito di comunicazione da parte dell’ACI, provvederà a cancellare gratuitamente il fermo amministrativo dagli archivi del PRA. Il veicolo non è quindi soggetto ad alcuna limitazione della disponibilità.

Come verificare se è stato iscritto un fermo amministrativo

E’ possibile richiedere una visura della targa del veicolo all’ufficio provinciale ACI (PRA), o tramite il servizio online , o ad una delegazione ACI o ad uno studio di consulenza automobilistica (agenzia pratiche auto).

La visura riporta tutte le informazioni giuridico-patrimoniali relative al veicolo, risultanti in quel momento.

Come opporsi ad un’iscrizione di fermo amministrativo ritenuta illegittima

Avverso il provvedimento di fermo è consentito proporre opposizione.

L’art. 19, comma 1, del D.Lgs. 31.12.1992 n. 546 attribuisce alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie le opposizioni sui fermi di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni.

Tuttavia, il Supremo Collegio, a Sezioni Unite, ha sancito la ripartizione della competenza tra giudice ordinario e giudice tributario nei casi di fermo amministrativo di beni mobili registrati, stabilendo che: “Con riferimento alle controversie aventi per oggetto il provvedimento di fermo di beni mobili registrati, di cui all’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1972, ai fini della giurisdizione rileva la natura dei crediti posti a fondamento del provvedimento di fermo, con la conseguenza che la giurisdizione spetterà al giudice tributario o al giudice ordinario a seconda della natura tributaria o meno dei crediti, ovvero ad entrambi se il provvedimento di fermo si riferisce in parte a crediti tributari e in parte a crediti non tributari”. (Cfr. Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 05/06/2008, n. 14831).

Il preavviso di fermo amministrativo

Il preavviso di fermo amministrativo, introdotto nella prassi sulla base di istruzioni fornite dall’Agenzia delle Entrate alle società di riscossione al fine di superare il disposto dell’ art. 86, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 – in forza del quale il concessionario deve dare comunicazione del provvedimento di fermo al soggetto nei cui confronti si procede, decorsi sessanta giorni dalla notificazione della cartella esattoriale – e consistente nell’ulteriore invito all’obbligato di effettuare il pagamento, con la contestuale comunicazione che, alla scadenza dell’ulteriore termine, si procederà all’iscrizione del fermo, rappresenta un atto autonomamente impugnabile anche se riguardante obbligazioni di natura extratributaria.

Si tratta, infatti, di atto funzionale a portare a conoscenza dell’obbligato una determinata pretesa dell’Amministrazione, rispetto alla quale sorge l’interesse alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della stessa, dovendo altrimenti l’obbligato attendere il decorso dell’ulteriore termine concessogli per impugnare l’iscrizione del fermo, direttamente in sede di esecuzione, con aggravio di spese ed ingiustificata perdita di tempo.