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DiRaffaele Boccia

Condominio: è illegittimo il fondo cassa per “spese eventuali” se supera certi limiti

Già da due anni la assemblea condominiale deputata all’approvazione dei bilanci è piuttosto movimentata in quanto la maggioranza si ostina a mantenere un fondo cassa per spese eventuali. Tale fondo corrisponde a circa un quarto dell’intero bilancio preventivo e finisce con l’aggravare parecchio la posizione di piccoli condomini, tra cui io. Volevo capire se questo è giusto. Grazie. (Luana, email)

Gentile signora, occorre distinguere tra residuo attivo della gestione e fondo speciale.

Il codice civile (art.1135), infatti, prevede che un residuo della gestione (così indicando che non può trattarsi che di una piccola frazione, residuale appunto, non di una somma importante) possa essere destinato dall’assemblea a fondo-cassa per, ad esempio, far fronte a spese di ordinaria manutenzione e conservazione dei beni comuni. La relativa delibera è formalmente regolare, anche se tale istituzione non è indicata tra gli argomenti da trattare, se è desumibile dal rendiconto – depositato prima dell’assemblea convocata per la sua approvazione – in cui l’accantonamento di un’entrata condominiale è destinato alle spese di ordinaria manutenzione. Debbono intendersi vietati, però, comportamenti vessatori, quali l’aumentare per questa via le spese da richiedersi, magari per creare intenzionalmente difficoltà a questo o quel condomino.

E qui veniamo al fondo speciale, che è qualcosa di più cospicuo di un “residuo”. L’assemblea può legittimamente decidere di istituirlo, ma solo per essere finalizzato ad opere di straordinaria manutenzione.

Dunque, per rispondere alla sua domanda, ritengo che vincolare un quarto dell’intero bilancio ad un fondo per spese eventuali costituisca un eccesso di potere dell’assemblea, in quanto tale quota non può essere considerata un residuo, nè può essere qualificata come un fondo speciale, previsto, come detto, solo per le spese di straordinaria manutenzione. Le consiglio, dunque, di far verbalizzare il proprio dissenso e poi, eventualmente, impugnare la delibera entro trenta giorni.

La norma

Art.1135 c.c.

Attribuzioni dell’assemblea dei condomini.

[I]. Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede [66 att.]:

1) alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione;

2) all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa ripartizione tra i condomini;

3) all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e all’impiego del residuo attivo della gestione;

4) alle opere di manutenzione straordinaria, costituendo, se occorre, un fondo speciale.

[II]. L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.

 

DiRaffaele Boccia

Ripartizione spese condominio: se si rompe il canale di scarico o la braga

Con una recentissima sentenza la Cassazione civile (sez. II, 03 settembre 2010, n.19045) ha chiarito che, in un condominio, la presunzione di comproprietà, prevista dall’art. 1117 c.c., n. 3, anche per l’impianto di scarico delle acque, opera con riferimento alla parte dell’impianto che raccoglie le acque provenienti dagli appartamenti, e, quindi, che presenta l’attitudine all’uso ed al godimento collettivo, con esclusione delle condutture (ivi compresi i raccordi di collegamento) che, diramandosi da detta colonna condominiale di scarico, servono un appartamento di proprietà esclusiva.

La spesa per la riparazione dei canali di scarico dell’edificio in condominio, dunque, è a carico di tutti i condomini per la parte relativa alla colonna verticale di scarico ed a carico dei rispettivi proprietari per la parte relativa alle tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti.

Conseguentemente, la braga, quale elemento di raccordo fra la tubatura orizzontale di pertinenza del singolo appartamento e la tubatura verticale, di pertinenza condominiale, è strutturalmente posta nella diramazione, per cui essa non può rientrare nella proprietà comune condominiale, che è tale perché serve all’uso (ed al godimento) di tutti i condomini; e, nella specie, la braga, qualunque sia il punto di rottura della stessa, serve soltanto a convogliare gli scarichi di pertinenza del singolo appartamento, a differenza della colonna verticale che, raccogliendo gli scarichi, di tutti gli appartamenti, serve all’uso di tutti i condomini.

La norma in questione

Art. 1117.
Parti comuni dell’edificio.

Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo:

1) il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune;

2) i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune;

3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

DiRaffaele Boccia

Le tabelle millesimali non richiedono approvazione all’unanimità

Come più volte precisato dalla Cassazione (sent. 25 gennaio 1990 n. 431; 20 gennaio 1977 n. 298; 3 gennaio 1977 n. 1), la tabella millesimale serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su tali diritti.

Quando i condomini approvano la tabella che ha determinato il valore dei piani o delle porzioni di piano secondo i criteri stabiliti dalla legge, dunque, non fanno altro che riconoscere l’esattezza delle operazioni di calcolo della proporzione tra il valore della quota e quello del fabbricato; in sintesi, la misura delle quote risulta determinata in forza di una precisa disposizione di legge.

Va, dunque, negata la natura di negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni alla deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali. Difatti, caratteristica propria del negozio giuridico è la conformazione della realtà oggettiva alla volontà delle parti: l’atto di approvazione della tabella, invece, fa capo ad una documentazione ricognitiva di tale realtà, priva di connotazioni negoziali.

Le tabelle servono ai fini della ripartizione delle spese e del computo dei quorum costitutivi e deliberativi in sede di assemblea, per cui deve escludersi che una determinazione ad opera dell’assemblea possa incidere sul diritto di proprietà del singolo condomino. Una determinazione che non rispecchiasse il valore effettivo di un piano o di una porzione di piano rispetto all’intero edificio potrebbe risultare pregiudizievole per il condomino, nel senso che potrebbe costringerlo a pagare spese condominiali in misura non proporzionata al valore della parte di immobile di proprietà esclusiva, ma non inciderebbe sul diritto di proprietà come tale. All’“inconveniente” generato dall’errore di calcolo si può porre rimedio, senza limiti di tempo, mediante la revisione della tabella ex art. 69 disp. att. c.c..

Contro la validità della tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali pesano almeno altre due argomenti.

Si consideri, in primis, che un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni richiederebbe la forma scritta, cosa che non è possibile sostenere in relazione alla posizione dei condomini che non hanno partecipato alla delibera di approvazione delle tabelle millesimali, né il loro consenso potrebbe ritenersi manifestato per facta concludentia in base al comportamento dagli stessi tenuto successivamente alla delibera stessa.

Inoltre, non va dimenticato che i contratti vincolano solo le parti ed i loro successori a titolo universale. Il considerare una tabella millesimale vincolante per i condomini solo in virtù del consenso dagli stessi, espressamente o tacitamente manifestato, comporterebbe la inefficacia della tabella stessa nei confronti di eventuali aventi causa a titolo particolare dai condomini, con la conseguenza che ad ogni alienazione di una unità immobiliare dovrebbe far seguito un nuovo atto di approvazione o un nuovo giudizio avente ad oggetto la formazione della tabella.

Una volta negata validità alla tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali, se si tiene presente che tali tabelle, in base all’art. 68 disp. att. c.c., sono allegate al regolamento di condominio, il quale, in base all’art. 1138 c.c., viene approvato dall’assemblea a maggioranza, e che esse non accertano il diritto dei singoli condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ma soltanto il valore di tali unità rispetto all’intero edificio, ai soli fini della gestione del condominio, è logico concludere che tali tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regolamento di condominio.

Alla luce di quanto esposto deve, quindi, affermarsi che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1139 c.c., comma 2.

Cassazione civile , SS.UU., sentenza 09.08.2010 n° 18477

DiRaffaele Boccia

Il singolo condomino ha facoltà di intervenire nella causa iniziata contro il Condominio

 

In tema di condominio negli edifici, posto che il condominio stesso si configura come ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale, con la conseguenza che l’intervento dei condomini in una causa iniziata dall’amministratore realizza un’ipotesi di intervento della parte, che è ammissibile anche quando l’azione sia stata (in ipotesi) irregolarmente proposta per difetto di legittimazione dell’amministratore, trattandosi in tal caso di sostituzione del legittimato al non legittimato.

E’ quanto ribadito da Cassazione civile , sez. II, 26 marzo 2010, n. 7300.

In effetti, il condomino, nell’ambito dei diritti che gli derivano dall’essere titolare di una quota della proprietà necessariamente indivisa, non può essere privato della propria legittimazione personale, sia attiva che passiva. Ciò risulta tanto più rilevante in tutti quei casi in cui, per inerzia dell’amministratore o dell’assemblea ovvero per necessità di promuovere un’azione d’urgenza, i diritti del Condominio potrebbero risultare non idoneamente tutelati. In questi casi, il singolo condomino potrà agire a tutela della cosa comune.

Dal punto di vista processuale, egli potrà anche intervenire nel giudizio già iniziato dall’amministratore ed eventualmente avvalersi dei mezzi di impugnazione onde evitare effetti pregiudizievoli di pronunce giudiziali contrarie al Condominio.

DiRaffaele Boccia

se il Condominio pretende spese deliberate quando ancora non ero proprietario

nel 2009 ho acquistato due appartamenti in un condominio. All’assemblea tenutasi lo scorso mese di aprile viene deliberata una spesa per corrispondere gli onorari ai legali per un giudizio iniziato dieci anni prima da un condomino, che aveva subito un piccolo danno per la rottura di un tubo condominiale. L’Amministratore mi dice che la relativa spesa era stata approvata nel 1999, ma insiste nel ritenere che debba farmene carico io e non il vecchio proprietario. Sulla base delle tabelle millesimali, si tratterebbe di un importo considerevole. (Michele, email)

Gentile Signore, il suo caso è previsto e disciplinato dall’art.63, comma 2, disposizioni attuative del codice civile, il quale stabilisce che “chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, in solido con il precedente condomino, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente”.

In base al tenore di questa norma, dunque, Lei è certamente obbligato al pagamento dei contributi per l’anno 2010 (anno in corso) e per l’anno 2009 (anno precedente), non certo per quelli degli anni precedenti.

In relazione all’art.63, comma 2, disp. att. c.c., la Giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, la quale è invece diretta soltanto a rendere liquido un debito che preesiste. (Cass. sez. II civile, sentenza n.15288 del 21 luglio 2005; Cass. sez. II civile, sentenza n.6323 del 18 aprile 2003; Cass. sez. II civile, sentenza n.7844 dell’11 giugno 2001; Cass. sent. n. 9366 del 26 ottobre 1996).

La Giurisprudenza, dunque, identifica il momento d’insorgenza dell’obbligo di contribuzione alle spese condominiali, al fine dell’individuazione del soggetto tenuto all’adempimento, nell’adozione della delibera assembleare che aveva approvato la spesa (nel suo caso, quelle del 1999), e considera la successiva deliberazione di ripartizione delle stesse uno strumento volto a rendere liquido un debito preesistente.

Si consideri, infatti, che la delibera di ripartizione può anche mancare ed è superflua ove, come nel caso in esame, esistano le tabelle millesimali, per cui l’individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini è il frutto di una semplice operazione matematica.

Le consiglio, dunque, di non pagare e, nel caso in cui l’Amministratore metta in esecuzione la delibera in Suo danno, di rivolgersi ad un legale.