Archivio per Categoria Multe e sanzioni

DiRaffaele Boccia

Illegittima la comunicazione di detrazione dei punti se è ancora possibile l’impugnazione

Gentile avvocato, avevo proposto ricorso al Prefetto contro una multa per eccesso di velocità che mi irrogava anche la decurtazione dei punti dalla patente di guida. Il Prefetto mi ha rigettato il ricorso e, ancor prima che potessi impugnare l’ordinanza-ingiunzione innanzi al Giudice di Pace (i termini erano ancora in corso), il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti mi ha comunicato l’avvenuta decurtazione dei punti. Che posso fare? (Vincenzo C., email)

Salve. In un caso del tutto analogo al suo, la Cassazione (sez. un., 23 aprile 2010 n. 9691) ha precisato che, essendo la decurtazione dei punti una sanzione amministrativa conseguente alla violazione di norme sulla circolazione stradale, e quindi connessa all’esito del procedimento avente ad oggetto la contestazione principale, “deve ritenersi illegittimo il provvedimento recante la comunicazione della annotazione nell’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida della riduzione del punteggio relativo alla patente di guida laddove risulti la non avvenuta “definizione” della violazione”.

Difatti, l’art.126 bis, comma 2, del Codice della strada espressamente subordina la decurtazione alla definizione della contestazione effettuata.

La contestazione, riguardante, come detto, la violazione principale (nel suo caso, l’eccesso di velocità), si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi. Nel suo caso, essendo ancora aperti i termini per il ricorso al giudice di pace avverso l’ordinanza-ingiunzione prefettizia, il provvedimento di decurtazione dei punti è certamente illegittimo e, impugnato, dovrà essere annullato.

DiVincenzo Ambrosio

Multe: quanto tempo ha il Prefetto per emettere l’ordinanza ingiunzione?

Gentile Avvocato, il 7/12/09 ho presentato ricorso al prefetto per una multa, inviando una raccomandata alla polizia municipale. Il 30/04 ricevo una lettera di convocazione per essere ascoltato il 9/06 in prefettura. Mi presentavo regolarmente e solo il giorno 18/10 mi viene notificata ordinanza ingiunzione per il pagamento della multa datata 10/06. Qualcuno mi dice che dieci mesi sono troppi per rispondere e che l’ordinanza del prefetto sarebbe invalida. Può aiutarmi? Allego i documenti. Grazie. (Giuseppe C., email)

Gentile sig. Giuseppe, il Codice delle Strada stabilisce che il prefetto deve adottare l’ordinanza di ingiunzione di pagamento di sanzione pecuniaria entro il termine perentorio di 120 gg. dalla ricezione degli atti da parte dell’ufficio accertatore (nel caso in esame la polizia municipale), che ha 60 gg. di tempo per trasmettere detta documentazione.

Dunque, in sostanza, l’ordinanza, nel suo caso, andava assunta entro 180 giorni dal 07/12/2009, cosa che sembra essere avvenuta. Infatti, nel computo di tale termine bisogna detrarre il periodo di tempo intercorrente tra la comunicazione di convocazione da lei ricevuta in data 30/04/2010 e la data di audizione (09/06/2010). Lo prevede l’art.204, co.1-ter Codice della Strada.

Ugualmente appare regolare la notificazione dell’ordinanza avvenuta in data 18/10, in quanto, ai sensi dell’art. 204 co.2 Codice della Strada, il Prefetto deve notificare l’ordinanza di ingiunzione entro 150 gg. dalla data di adozione della stessa (10/06/2010).

Piuttosto, ravviso nell’ordinanza che mi ha inviato per email un altro vizio, che potrà far valere con ricorso da depositare innanzi al Giudice di pace del luogo della commessa infrazione entro 60 giorni: il provvedimento, infatti, non indica la data in cui la Prefettura riceveva la documentazione dalla Polizia Municipale, in tal modo non consentendo né la verifica del rispetto del termine di 60 gg. (che è perentorio) entro cui la P.M. doveva trasmettere i documenti, né, conseguentemente, il rispetto del termine di 120 gg. entro il quale il Prefetto doveva emettere l’ordinanza.

DiRaffaele Boccia

Il fermo amministrativo

Il fermo amministrativo è un atto con il quale le amministrazioni o gli enti pubblici (Comuni, INPS, Regioni, ecc.), tramite i concessionari della riscossione, “bloccano” un bene mobile del debitore iscritto in pubblici registri (ad esempio autoveicoli) o dei coobbligati, al fine di riscuotere i crediti non pagati che possono riferirsi a tributi o tasse (può trattarsi di un credito di varia natura, ad esempio, un mancato pagamento IVA, IRPEF, Bollo auto, ICI, ecc…) oppure a multe relative ad infrazioni al Codice della Strada.

Iscrizione e conseguenze del fermo amministrativo

In caso di mancato pagamento della cartella esattoriale nei termini di legge, il concessionario della riscossione può disporre il fermo dei veicoli intestati al debitore, tramite iscrizione del provvedimento di fermo amministrativo nel Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

A seguito dell’iscrizione del fermo la disponibilità del veicolo è limitata fino a quando il debitore non saldi il proprio debito e provveda a cancellarne l’iscrizione dal PRA.

Il veicolo, infatti:

  • non può circolare: se circola è prevista una sanzione che va da euro 714 a euro 2.859. È disposta, inoltre, la confisca del veicolo;
  • non può essere radiato dal PRA: non può essere demolito od esportato;
  • anche se viene venduto, con atto di data certa successiva all’iscrizione del fermo, non può circolare e non può essere radiato dal PRA.

Inoltre, se il debitore non paga, il concessionario della riscossione potrà agire forzatamente per la vendita del veicolo.

Cancellazione del fermo amministrativo

Per la cancellazione del fermo occorre presentare a un qualsiasi ufficio provinciale del Pubblico Registro Automobilistico (PRA):

  • il provvedimento di revoca in originale (rilasciato dal concessionario della riscossione dopo aver saldato il debito per il quale il fermo è stato iscritto) contenente i dati del veicolo, del debitore e l’importo del credito di cui si chiede la cancellazione;
  • il certificato di proprietà (CdP), sul cui retro compilare la nota di richiesta, o il foglio complementare;
  • il modello NP-3 (se non si utilizza il CdP come nota di richiesta).

A seguito dell’esito positivo della richiesta, viene cancellato il fermo amministrativo e viene rilasciato un nuovo certificato di proprietà.

Casi particolari: errore del concessionario e vendita anteriore all’iscrizione del fermo

Se il fermo amministrativo è stato iscritto erroneamente, perché basato su una somma non dovuta dal contribuente (sgravio totale per indebito), il concessionario della riscossione provvede a richiedere al PRA la cancellazione gratuita dell’iscrizione del fermo.

Se il veicolo è stato venduto con atto di data certa anteriore all’iscrizione del fermo, dopo aver trascritto il passaggio di proprietà al PRA, il concessionario della riscossione, a seguito di comunicazione da parte dell’ACI, provvederà a cancellare gratuitamente il fermo amministrativo dagli archivi del PRA. Il veicolo non è quindi soggetto ad alcuna limitazione della disponibilità.

Come verificare se è stato iscritto un fermo amministrativo

E’ possibile richiedere una visura della targa del veicolo all’ufficio provinciale ACI (PRA), o tramite il servizio online , o ad una delegazione ACI o ad uno studio di consulenza automobilistica (agenzia pratiche auto).

La visura riporta tutte le informazioni giuridico-patrimoniali relative al veicolo, risultanti in quel momento.

Come opporsi ad un’iscrizione di fermo amministrativo ritenuta illegittima

Avverso il provvedimento di fermo è consentito proporre opposizione.

L’art. 19, comma 1, del D.Lgs. 31.12.1992 n. 546 attribuisce alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie le opposizioni sui fermi di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni.

Tuttavia, il Supremo Collegio, a Sezioni Unite, ha sancito la ripartizione della competenza tra giudice ordinario e giudice tributario nei casi di fermo amministrativo di beni mobili registrati, stabilendo che: “Con riferimento alle controversie aventi per oggetto il provvedimento di fermo di beni mobili registrati, di cui all’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1972, ai fini della giurisdizione rileva la natura dei crediti posti a fondamento del provvedimento di fermo, con la conseguenza che la giurisdizione spetterà al giudice tributario o al giudice ordinario a seconda della natura tributaria o meno dei crediti, ovvero ad entrambi se il provvedimento di fermo si riferisce in parte a crediti tributari e in parte a crediti non tributari”. (Cfr. Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 05/06/2008, n. 14831).

Il preavviso di fermo amministrativo

Il preavviso di fermo amministrativo, introdotto nella prassi sulla base di istruzioni fornite dall’Agenzia delle Entrate alle società di riscossione al fine di superare il disposto dell’ art. 86, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 – in forza del quale il concessionario deve dare comunicazione del provvedimento di fermo al soggetto nei cui confronti si procede, decorsi sessanta giorni dalla notificazione della cartella esattoriale – e consistente nell’ulteriore invito all’obbligato di effettuare il pagamento, con la contestuale comunicazione che, alla scadenza dell’ulteriore termine, si procederà all’iscrizione del fermo, rappresenta un atto autonomamente impugnabile anche se riguardante obbligazioni di natura extratributaria.

Si tratta, infatti, di atto funzionale a portare a conoscenza dell’obbligato una determinata pretesa dell’Amministrazione, rispetto alla quale sorge l’interesse alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della stessa, dovendo altrimenti l’obbligato attendere il decorso dell’ulteriore termine concessogli per impugnare l’iscrizione del fermo, direttamente in sede di esecuzione, con aggravio di spese ed ingiustificata perdita di tempo.

DiRaffaele Boccia

Opposizione a sanzione amministrativa: la marca di 8,00 euro non è dovuta

Con nota nr.4275 del 28.09.2010, il Ministero di Giustizia precisa che resta in vigore il principio, contenuto nella legge istitutiva del Giudice di Pace (risalente al 1991), per cui tutti gli affari sotto i 1.033 euro sono sottoposti soltanto al pagamento del contributo unificato (quindi i 33 euro) restando esenti da ogni altra imposta o tassa.

Di conseguenza per le sanzioni entro 1.033 euro si pagano 33 euro; per quelle tra 1.033 e 1.100 euro si pagano 41 euro; per quelle oltre 1.100 si versano 85 euro e così via secondo le classi di scaglione.

Domanda: Che ne sarà di quegli otto euro che dal 1 gennaio 2010 sono stati indebitamente incassati dallo Stato?

DiRaffaele Boccia

Le sanzioni per l’emissione di assegno senza provvista (art.2 L.386/90)

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Emettere un assegno bancario o postale che, presentato in tempo utile, non viene pagato in tutto o in parte per difetto di provvista comporta l’applicazione della  sanzione amministrativa pecuniaria da £ 1 milione a £ 6 milioni.

Se l’importo dell’assegno e’ superiore a £ 20 milioni o nel caso di più violazioni, la sanzione amministrativa va da £ 2 milioni a £ 12 milioni.

E’ prevista, inoltre, la sanzione accessoria del divieto di emettere assegni quando l’importo dell’assegno, ovvero di piu’ assegni emessi in tempi ravvicinati e sulla base di una programmazione unitaria, e’ superiore ai vecchi £ 5 milioni.

Nei casi più gravi (assegno o più assegni emessi in tempi ravvicinati e sulla base di una programmazione unitaria di importo complessivo superiore a £ 100 milioni; traente che, nei 5 anni precedenti, ha commesso due o più emissioni senza autorizzazione o senza provvista per un importo superiore complessivamente a £ 20 milioni),  si applicano anche una o piu’ delle seguenti sanzioni accessorie:

a) interdizione dall’esercizio di un’attivita’ professionale o imprenditoriale;

b) interdizione dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese;

c) incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

Dette sanzioni non possono avere una durata inferiore a 2 mesi, nè superiore a 2 anni. Il divieto di emettere assegni bancari e postali non può avere una durata inferiore a 2 anni, ne’ superiore a 5 anni.

Come evitare le sanzioni

Per evitare di incorrere nella sanzioni previste dalla legge 386, chi ha emesso l’assegno deve effettuare il pagamento del titolo e di tutte le spese accessorie (interessi, penale, spese di protesto) entro 60 giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo.

Il pagamento può essere effettuato nelle mani del portatore del titolo o presso lo stabilimento trattario (banca o posta), ovvero presso il pubblico ufficiale che ha levato il protesto.

La prova dell’avvenuto pagamento deve essere fornita mediante quietanza del portatore con firma autenticata ovvero, se il pagamento è avvenuto direttamente in banca (o posta), mediante l’attestazione dell’istituto.

L’iscrizione nel C.A.I. (centrale d’allarme interbancaria)

Quando sono decorsi i 60 giorni senza che il traente abbia fornito la prova dell’avvenuto pagamento, la banca (o l’ufficio postale) iscrive il nome del traente nel C.A.I. (Centrale d’Allarme Interbancaria).

L’iscrizione nell’archivio C.A.I. determina la revoca di ogni autorizzazione a emettere assegni. Una nuova autorizzazione non puo’ essere data prima che sia trascorso il termine di 6 mesi dall’iscrizione del nominativo nell’archivio.

La revoca comporta, inoltre, il divieto, della durata di 6 mesi, per qualunque banca e ufficio postale di stipulare nuove convenzioni di assegno con il traente e di pagare gli assegni tratti dal medesimo dopo l’iscrizione nell’archivio, anche se emessi nei limiti della provvista.

Le comunicazioni della Banca (o dell’ufficio postale)

L’iscrizione al C.A.I. deve essere preceduta da una comunicazione con cui la Banca (o l’ufficio postale) invita il traente al pagamento entro 60 giorni, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà all’iscrizione ed alla revoca di ogni autorizzazione a emettere assegni.

Nella stessa comunicazione, che va eseguita entro il 10° giorno dalla presentazione al pagamento del titolo mediante telegramma o lettera raccomandata con avviso di ricevimento, chi ha emesso l’assegno è invitato a restituire tutti i moduli di assegno in suo possesso, sempre che non abbia nel frattempo pagato.

L’iscrizione del nominativo del traente nell’archivio può avvenire solo dopo l’inutile decorso di almeno 10 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione.

Se la comunicazione non è effettuata entro il termine di 10 giorni, la Banca (o la Posta) è tenuta al pagamento degli assegni emessi dal traente dopo tale data e fino al giorno successivo alla comunicazione, anche se manca o è insufficiente la provvista, nel limite di £ 20 milioni per ogni assegno.

Il procedimento sanzionatorio

L’applicazione delle sanzioni è di competenza del Prefetto del luogo di emissione dell’assegno.

La Banca o l’ufficio postale comunicano il mancato pagamento al pubblico ufficiale che deve levare il protesto; il pubblico ufficiale, in caso di mancato pagamento nei 60 giorni, trasmette il rapporto al prefetto che, entro 90 giorni dalla ricezione dell’informativa, notifica all’interessato gli estremi della violazione.

A questo punto l’interessato ha 30 giorni di tempo per presentare scritti difensivi e documenti.

Il prefetto, a questo punto, valutate anche le deduzioni difensive inviate dall’interessato, può emettere:

a) ingiunzione di pagamento della somma dovuta (con le spese);

b) ordinanza motivata di archiviazione degli atti.

La Corte di Cassazione in sezioni riuniti con sentenza 27 aprile 2006, n. 9591 ha stabilito che l’ordinanza debba essere emessa e notificata entro il termine di prescrizione di cinque anni dalla commissione della violazione, stabilito dall’art. 28 legge 689/81.

Contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento gli interessati possono proporre opposizione davanti al giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione individuato a norma dell’articolo 22-bis (quindi il giudice di pace), entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento. Oppure può chiedere di poter pagare a rate secondo le modalità di cui all’art. 26 della legge 689/81.

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