i miei articoli

DiRaffaele Boccia

Chi è il consumatore

L’art.3 del Codice del consumo (D. Lgs. 6 settembre 2005 n.206), riprendendo la definizione dell’art.1469 bis c.c., definisce il consumatore (o l’utente) come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.

La questione ha rilievo anche sotto il profilo processuale, in quanto, riconoscendosi in capo ad un soggetto del rapporto contrattuale la qualifica di consumatore, risulterà applicabile, ai fini dell’individuazione del giudice competente a conoscere la controversia, il cd. Foro del consumatore, corrispondente al giudice del luogo in cui l’utente ha la propria residenza o il proprio domicilio elettivo, ex art. 33, comma 2, lett. u), codice del consumo.

Per il passato la giurisprudenza di merito aveva fatto registrare alcune pronunce (Tribunale di Roma 20 ottobre 1999; Tribunale di Lucca 4 luglio 2000) secondo le quali poteva riconoscersi la qualifica di consumatore, ai fini dell’applicazione della disciplina favorevole prevista dalla normativa richiamata, anche al professionista o all’imprenditore per il quale la conclusione del contratto non era atto della professione come lo era per la sua controparte.

Si sosteneva, in buona sostanza, che i contratti al di fuori dell’oggetto dell’attività professionalmente svolta dalla persona fisica (ovvero non diretti a realizzarne in via immediata lo scopo), pur se ad essa strumentalmente collegati, erano riconducibili alla disciplina di favore prevista dal codice civile, consentendo l’applicazione delle garanzie da essa previste. Per esemplificare, si riconosceva la qualifica di consumatore al mediatore immobiliare che acquistava un computer con l’intenzione di destinarlo alla sua attività, in quanto detto contratto era estraneo a quello tipico dell’attività del mediatore (concludere contratti di vendita immobiliare); ovvero, che era consumatore l’avvocato che affidava ad un corriere una sua lettera diretta ad un cliente.

La giurisprudenza, attualmente, superati gli iniziali dubbi interpretativi, si è attestata su posizioni ormai consolidate.

La «tutela forte» di cui alla disciplina del codice del consumo spetta, innanzitutto, solo alle persone fisiche, quindi non alle società (la lettera della norma è chiara in questo senso).

Si è, inoltre, affermato che anche la persona fisica che svolga attività imprenditoriale o professionale può essere considerata «consumatore» soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attività.

La natura di consumatore va riconosciuta anche al condominio che è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti. Il rapporto contrattuale instaurato dall’amministratore non vincola questo in quanto tale, ma i singoli condomini e l’amministratore opera come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini. Ne consegue che, poiché i condomini vanno senz’altro considerati consumatori, essendo persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, anche al contratto concluso dall’amministratore del condominio con il professionista, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, si applica la normativa in esame.

Invece, per «professionista» deve intendersi tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che utilizzi il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Perché ricorra la figura del «professionista» non è pertanto necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, essendo sufficiente che esso venga posto in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale.

Casistica

In quest’ottica la Cassazione (9 novembre 2006 n. 23892) ha ritenuto che non sia qualificabile come consumatore l’avvocato che sottoscrive un contratto di assicurazione per i danni legati all’esercizio della sua attività di professionista, in quanto stipulato allo scopo, strettamente connesso con la sua attività professionale, di garantirsi dai rischi della responsabilità civile cui può essere esposto il professionista per lo svolgimento della sua attività.

Parimenti, deve escludersi la qualifica di consumatore, nell’ambito di un contratto di utenza di apparecchio radiomobile, in capo ad un avvocato che faccia uso della telefonia mobile anche per l’esercizio della sua attività professionale (Cass. 22 maggio 2006 n. 11933); all’utente della prestazione sanitaria resa da una azienda ospedaliera pubblica con oneri a carico del Servizio Sanitario Nazionale (Cassazione civile sez. III, 02 aprile 2009, n. 8093); al debitore esercente l’attività di impresa per un contratto di fideiussione prestato a suo favore e relativo a un debito collegato a tale attività (Cass. 13 giugno 2006 n. 13643); al commercialista che sottoscrive un contratto di fornitura di una banca dati giuridica in formato elettronico in presenza di elementi che comprovano che il contratto è stipulato nel quadro della sua attività professionale, ovvero una imprenditrice agricola nei confronti della compagnia di assicurazione con cui aveva stipulato un contratto per la copertura dei rischi derivati dall’attività dell’azienda.

DiRaffaele Boccia

Il fermo amministrativo

Il fermo amministrativo è un atto con il quale le amministrazioni o gli enti pubblici (Comuni, INPS, Regioni, ecc.), tramite i concessionari della riscossione, “bloccano” un bene mobile del debitore iscritto in pubblici registri (ad esempio autoveicoli) o dei coobbligati, al fine di riscuotere i crediti non pagati che possono riferirsi a tributi o tasse (può trattarsi di un credito di varia natura, ad esempio, un mancato pagamento IVA, IRPEF, Bollo auto, ICI, ecc…) oppure a multe relative ad infrazioni al Codice della Strada.

Iscrizione e conseguenze del fermo amministrativo

In caso di mancato pagamento della cartella esattoriale nei termini di legge, il concessionario della riscossione può disporre il fermo dei veicoli intestati al debitore, tramite iscrizione del provvedimento di fermo amministrativo nel Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

A seguito dell’iscrizione del fermo la disponibilità del veicolo è limitata fino a quando il debitore non saldi il proprio debito e provveda a cancellarne l’iscrizione dal PRA.

Il veicolo, infatti:

  • non può circolare: se circola è prevista una sanzione che va da euro 714 a euro 2.859. È disposta, inoltre, la confisca del veicolo;
  • non può essere radiato dal PRA: non può essere demolito od esportato;
  • anche se viene venduto, con atto di data certa successiva all’iscrizione del fermo, non può circolare e non può essere radiato dal PRA.

Inoltre, se il debitore non paga, il concessionario della riscossione potrà agire forzatamente per la vendita del veicolo.

Cancellazione del fermo amministrativo

Per la cancellazione del fermo occorre presentare a un qualsiasi ufficio provinciale del Pubblico Registro Automobilistico (PRA):

  • il provvedimento di revoca in originale (rilasciato dal concessionario della riscossione dopo aver saldato il debito per il quale il fermo è stato iscritto) contenente i dati del veicolo, del debitore e l’importo del credito di cui si chiede la cancellazione;
  • il certificato di proprietà (CdP), sul cui retro compilare la nota di richiesta, o il foglio complementare;
  • il modello NP-3 (se non si utilizza il CdP come nota di richiesta).

A seguito dell’esito positivo della richiesta, viene cancellato il fermo amministrativo e viene rilasciato un nuovo certificato di proprietà.

Casi particolari: errore del concessionario e vendita anteriore all’iscrizione del fermo

Se il fermo amministrativo è stato iscritto erroneamente, perché basato su una somma non dovuta dal contribuente (sgravio totale per indebito), il concessionario della riscossione provvede a richiedere al PRA la cancellazione gratuita dell’iscrizione del fermo.

Se il veicolo è stato venduto con atto di data certa anteriore all’iscrizione del fermo, dopo aver trascritto il passaggio di proprietà al PRA, il concessionario della riscossione, a seguito di comunicazione da parte dell’ACI, provvederà a cancellare gratuitamente il fermo amministrativo dagli archivi del PRA. Il veicolo non è quindi soggetto ad alcuna limitazione della disponibilità.

Come verificare se è stato iscritto un fermo amministrativo

E’ possibile richiedere una visura della targa del veicolo all’ufficio provinciale ACI (PRA), o tramite il servizio online , o ad una delegazione ACI o ad uno studio di consulenza automobilistica (agenzia pratiche auto).

La visura riporta tutte le informazioni giuridico-patrimoniali relative al veicolo, risultanti in quel momento.

Come opporsi ad un’iscrizione di fermo amministrativo ritenuta illegittima

Avverso il provvedimento di fermo è consentito proporre opposizione.

L’art. 19, comma 1, del D.Lgs. 31.12.1992 n. 546 attribuisce alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie le opposizioni sui fermi di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni.

Tuttavia, il Supremo Collegio, a Sezioni Unite, ha sancito la ripartizione della competenza tra giudice ordinario e giudice tributario nei casi di fermo amministrativo di beni mobili registrati, stabilendo che: “Con riferimento alle controversie aventi per oggetto il provvedimento di fermo di beni mobili registrati, di cui all’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1972, ai fini della giurisdizione rileva la natura dei crediti posti a fondamento del provvedimento di fermo, con la conseguenza che la giurisdizione spetterà al giudice tributario o al giudice ordinario a seconda della natura tributaria o meno dei crediti, ovvero ad entrambi se il provvedimento di fermo si riferisce in parte a crediti tributari e in parte a crediti non tributari”. (Cfr. Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 05/06/2008, n. 14831).

Il preavviso di fermo amministrativo

Il preavviso di fermo amministrativo, introdotto nella prassi sulla base di istruzioni fornite dall’Agenzia delle Entrate alle società di riscossione al fine di superare il disposto dell’ art. 86, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 – in forza del quale il concessionario deve dare comunicazione del provvedimento di fermo al soggetto nei cui confronti si procede, decorsi sessanta giorni dalla notificazione della cartella esattoriale – e consistente nell’ulteriore invito all’obbligato di effettuare il pagamento, con la contestuale comunicazione che, alla scadenza dell’ulteriore termine, si procederà all’iscrizione del fermo, rappresenta un atto autonomamente impugnabile anche se riguardante obbligazioni di natura extratributaria.

Si tratta, infatti, di atto funzionale a portare a conoscenza dell’obbligato una determinata pretesa dell’Amministrazione, rispetto alla quale sorge l’interesse alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della stessa, dovendo altrimenti l’obbligato attendere il decorso dell’ulteriore termine concessogli per impugnare l’iscrizione del fermo, direttamente in sede di esecuzione, con aggravio di spese ed ingiustificata perdita di tempo.

DiRaffaele Boccia

Tribunale di Milano: la sentenza delle Sezioni Unite non ha effetto retroattivo

Il Tribunale di Milano, pur condividendo le conclusioni cui sono giunte le SS.UU. della Cassazione nella famosa sentenza sul termine di costituzione dell’opponente a decreto ingiuntivo, afferma la sussistenza, nel nostro ordinamento, del principio di affidamento sul diritto vivente, in base al quale una nuova interpretazione della norma che capovolga un precedente consolidato orientamento giurisprudenziale non può pregiudicare la parte che su quel principio aveva fatto affidamento.

Dunque, il Giudice milanese esclude il riferimento all’istituto della rimessione in termini, che porterebbe ad una antieconomica regressione del giudizio alla fase delle costituzioni, salvaguardando la posizione dell’opponente costituitosi secondo i criteri di tempestività vigenti all’epoca dell’atto processuale contestato.

Tribunale di Milano

Sezione VI Civile

Ordinanza 7 ottobre 2010

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

SESTA SEZIONE CIVILE

Nella causa civile iscritta al n. r.g. 11035/2010

Il Giudice dott. LAURA COSENTINI,

a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 5.10.2010,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Premesso che parte attrice, notificato al convenuto atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo in data 8.2.2010 e costituitasi in data 17.2.2010, richiamando la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 9.9.10 n.19246 e l’ordinanza della Sezione II 17.6.2010 n. 14627, “chiede la rimessione in termini per la proposizione dell’opposizione con assegnazione del termine per l’impugnazione”;

Rilevato che nel presente procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo parte attrice opponente (notificato all’opposto l’8.2.10 atto di citazione a comparire all’udienza del 18.5.2010) risulta quindi avere assegnato a parte convenuta termini liberi a comparire ordinari, ossia non minori di 90 giorni, ai sensi dell’art.163 bis c.1 c.p.c., e risulta essersi costituita il 17.2.2010, entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, ex art.165 c.p.c., ciò in linea con un pregresso consolidato orientamento giurisprudenziale (già recepito da questo tribunale) secondo il quale l’abbreviazione dei termini di costituzione per l’opponente era da ritenersi conseguente al solo fatto obiettivo della concessione all’opposto di termini di comparizione inferiori a novanta giorni;

Preso atto dell’intervenuta pronuncia della Corte di Cassazione S.U. n.19246/10, la quale, ribadito il legame tra termini di comparizione e termini di costituzione quale sancito dall’art.165 c.1 c.p.c., ha affermato per “esigenze di coerenza sistematica… che non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposizione sia stata proposta”, richiamando il disposto di cui all’art.645 c.2 c.p.c. che prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà;

Ritenuto di uniformarci a tale innovativa interpretazione della norma processuale, norma di natura speciale che, sul presupposto delle ragioni di pronta trattazione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, risponde all’esigenza di bilanciamento delle posizioni delle parti, là dove la riduzione dei termini di costituzione dell’attore opponente bilancia la compressione dei termini a disposizione del convenuto opposto che, anticipandosi la costituzione dell’attore, avrà a disposizione in un tempo più breve i documenti dallo stesso allegati, da inserire nel fascicolo all’atto della costituzione;

Ritenuto tuttavia che nel procedimento in esame possa e debba darsi tutela alle aspettative processuali dell’opponente, che ha introdotto il giudizio nella vigenza del pregresso orientamento interpretativo giurisprudenziale, e che, alla luce dell’orientamento medio tempore intervenuto, incorrerebbe in una pronuncia d’improcedibilità dell’opposizione ex art.647 c.2 c.p.c. per tardiva costituzione equiparata a mancata costituzione;

Ritenuto che sussista nell’ordinamento un valido principio di affidamento sul diritto vivente quale risulta dalla generalizzata interpretazione delle norme regolatrici del processo da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità, principio che, alla luce degli artt.24 e 111 Cost., posti a garanzia di un giusto processo come effettivo strumento di azione e di difesa, preclude la possibilità di ritenere che gli effetti dell’atto processuale già formato al momento della pronuncia della Corte di legittimità che ha mutato l’interpretazione della norma, siano regolati dalla nuova interpretazione della legge, quantomeno nei casi in cui l’applicazione della stessa secondo la modificata interpretazione viene a compromettere in radice la tutela della parte;

Rilevato che in tal senso si è anche di recente espressa la Corte di legittimità (Cass. ord. 2.7.10 n.15811) che, in analoga situazione di mutamento in corso di causa di interpretazione consolidata di norme regolatrici del processo, ha ritenuto che ciò non possa avere effetti preclusivi sulla parte, la cui condotta processuale pur erronea trovi spiegazione e giustificazione nell’affidamento creato dalla giurisprudenza pregressa, richiamandosi la Corte al principio costituzionale del giusto processo che impone di garantire l’effettività del contraddittorio e dei mezzi di azione e di difesa nel processo;

Ritenuto che tali principi, se nella fattispecie all’attenzione della Corte inducevano a ravvisare nella rimessione in termini …il mezzo tecnico per ovviare all’errore oggettivamente scusabile (al fine di consentire alla parte di proporre ricorso per cassazione secondo le regole corrette di individuazione del giudice), nel caso di specie non impongono tale rimedio, ove si rilevi che l’opposizione è stata tempestivamente svolta avanti al giudice competente mediante atto di citazione ritualmente notificato e che, se da un lato l’opponente si è costituito nel termine di 10 giorni anziché 5 dalla notifica all’opposto della citazione (come consentito dall’orientamento giurisprudenziale pregresso ove concessi termini a comparire di fatto non abbreviati), dall’altro ciò non sembra avere leso i diritti di difesa dell’opposto (che peraltro nulla ha contestato), cui la citazione era stata notificata più di 90 giorni prima dell’udienza, e che quindi ha avuto a disposizione ben più di 45 giorni liberi per la sua costituzione in udienza (e ben più di 35 giorni liberi per la sua costituzione tempestiva, prescritta ex art.166 c.p.c. almeno dieci giorni prima dell’udienza nel caso di abbreviazione di termini);

Ritenuto quindi di non procedere a una rimessione in termini dell’opponente, che peraltro non potrebbe mai essere accolta con riferimento al termine di notifica della citazione in opposizione (come intenderebbe l’opponente nell’istanza a verbale), e che, ove riferita al termine di costituzione, comporterebbe un ritardo del giudizio non giustificato da esigenze di difesa e di contraddittorio, in antitesi con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo;

Ritenuto che, alla luce delle suestese considerazioni, non debba quindi essere rinnovata la costituzione dell’opponente, effettuata il 17.2.2010 secondo i criteri di tempestività di cui al consolidato orientamento giurisprudenziale all’epoca vigente, e in termini non lesivi dei diritti di difesa delle parti e della posizione bilanciata tra le stesse;

Ritenuto che il processo possa pertanto proseguire oltre e che, quanto al merito, la causa sia matura per la decisione;

fissa udienza di precisazione delle conclusioni ex art.281 sexies c.p.c. per la data del 11.1.2011 ore 12,30.

Si comunichi.

Milano, 7 ottobre 2010.

Il Giudice

dott. LAURA COSENTINI

DiRaffaele Boccia

Opposizione a sanzione amministrativa: la marca di 8,00 euro non è dovuta

Con nota nr.4275 del 28.09.2010, il Ministero di Giustizia precisa che resta in vigore il principio, contenuto nella legge istitutiva del Giudice di Pace (risalente al 1991), per cui tutti gli affari sotto i 1.033 euro sono sottoposti soltanto al pagamento del contributo unificato (quindi i 33 euro) restando esenti da ogni altra imposta o tassa.

Di conseguenza per le sanzioni entro 1.033 euro si pagano 33 euro; per quelle tra 1.033 e 1.100 euro si pagano 41 euro; per quelle oltre 1.100 si versano 85 euro e così via secondo le classi di scaglione.

Domanda: Che ne sarà di quegli otto euro che dal 1 gennaio 2010 sono stati indebitamente incassati dallo Stato?

DiRaffaele Boccia

Condominio: è illegittimo il fondo cassa per “spese eventuali” se supera certi limiti

Già da due anni la assemblea condominiale deputata all’approvazione dei bilanci è piuttosto movimentata in quanto la maggioranza si ostina a mantenere un fondo cassa per spese eventuali. Tale fondo corrisponde a circa un quarto dell’intero bilancio preventivo e finisce con l’aggravare parecchio la posizione di piccoli condomini, tra cui io. Volevo capire se questo è giusto. Grazie. (Luana, email)

Gentile signora, occorre distinguere tra residuo attivo della gestione e fondo speciale.

Il codice civile (art.1135), infatti, prevede che un residuo della gestione (così indicando che non può trattarsi che di una piccola frazione, residuale appunto, non di una somma importante) possa essere destinato dall’assemblea a fondo-cassa per, ad esempio, far fronte a spese di ordinaria manutenzione e conservazione dei beni comuni. La relativa delibera è formalmente regolare, anche se tale istituzione non è indicata tra gli argomenti da trattare, se è desumibile dal rendiconto – depositato prima dell’assemblea convocata per la sua approvazione – in cui l’accantonamento di un’entrata condominiale è destinato alle spese di ordinaria manutenzione. Debbono intendersi vietati, però, comportamenti vessatori, quali l’aumentare per questa via le spese da richiedersi, magari per creare intenzionalmente difficoltà a questo o quel condomino.

E qui veniamo al fondo speciale, che è qualcosa di più cospicuo di un “residuo”. L’assemblea può legittimamente decidere di istituirlo, ma solo per essere finalizzato ad opere di straordinaria manutenzione.

Dunque, per rispondere alla sua domanda, ritengo che vincolare un quarto dell’intero bilancio ad un fondo per spese eventuali costituisca un eccesso di potere dell’assemblea, in quanto tale quota non può essere considerata un residuo, nè può essere qualificata come un fondo speciale, previsto, come detto, solo per le spese di straordinaria manutenzione. Le consiglio, dunque, di far verbalizzare il proprio dissenso e poi, eventualmente, impugnare la delibera entro trenta giorni.

La norma

Art.1135 c.c.

Attribuzioni dell’assemblea dei condomini.

[I]. Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede [66 att.]:

1) alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione;

2) all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa ripartizione tra i condomini;

3) all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e all’impiego del residuo attivo della gestione;

4) alle opere di manutenzione straordinaria, costituendo, se occorre, un fondo speciale.

[II]. L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.