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DiRaffaele Boccia

Assicurazione in liquidazione coatta amministrativa: i danni diversi da quelli derivanti da rca

 

Volevo sapere a chi rivolgermi per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al furto della mia auto avvenuto qualche giorno fa ed assicurata con la Progress. Mi hanno detto che è fallita e che avrei perso ogni diritto. E’ vero? (Saverio A.)

Gentile signore, con Decreto Ministeriale del 29/03/2010 alla Progress Ass.ni è stata revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’attività in tutti i rami ed è stata posta in liquidazione coatta amministrativa (l.c.a.). Il provvedimento è stato pubblicato in G.U. il 20 aprile 2010.

Una  volta aperta la procedura di liquidazione coatta amministrativa, ogni diritto di credito è tutelabile esclusivamente mediante accertamento in sede fallimentare. Deve, quindi, presentare istanza per entrare a far parte della massa dei creditori fallimentari.

Ricordo, poi, che l’art.169 del codice delle assicurazioni prevede espressamente che i contratti di assicurazione in corso di esecuzione alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento di liquidazione continuano a coprire i rischi fino al sessantesimo giorno successivo.

Gli assicurati hanno facoltà di recesso, dopo la pubblicazione del provvedimento di liquidazione, mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Il recesso ha effetto dal giorno successivo a quello di ricevimento della comunicazione da parte della liquidazione.

Quindi, Lei avrebbe avuto la facoltà di recedere dal contratto entro sessanta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del detto provvedimento, e cioè entro il 19 maggio 2010. Decorso questo termine, il contratto ha perso efficacia e non è più in alcun modo invocabile.

Diversa e più favorevole sorte riserva, invece, la richiamata disposizione ai contratti di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per i danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, in corso di esecuzione alla data di pubblicazione del provvedimento di liquidazione, i cui effetti continuano, nei limiti delle somme minime per cui è obbligatoria l’assicurazione, a coprire i rischi fino alla scadenza del contratto o del periodo di tempo per il quale è stato pagato il premio.

In tale ultimo caso, infatti, in caso di sinistro, il risarcimento sarà dovuto dal Fondo di Garanzia Vittime della strada, nelle forme e con i modi sempre disciplinati dal codice delle assicurazioni.

Per i sinistri verificatisi entro il sessantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del provvedimento di liquidazione gli aventi diritto a capitali o indennizzi vengono soddisfatti con priorità rispetto agli altri titolari di crediti sorti anteriormente al provvedimento di liquidazione (Art. 258, comma 4 del Codice delle Assicurazioni).

DiRaffaele Boccia

Risarcimento dovuto se il volo è cancellato o ritarda almeno tre ore

In tema di trasporto aereo, è piuttosto frequente il verificarsi di cancellazioni o ritardi nei voli.

Il Regolamento (CE) n. 261/2004 ha istituito regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato, abrogando il regolamento(CEE) n. 295/91.

Vediamo cosa prevede il regolamento per questi casi, con particolare riferimento alla distinzione tra cancellazione e ritardo del volo, atteso che da essa dipende il riconoscimento o meno del diritto del passeggero al risarcimento dei danni (definita dal regolamento “compensazione pecuniaria”).

Ai sensi del regolamento, si intende per “cancellazione del volo” la mancata effettuazione di un volo originariamente previsto e sul quale sia stato prenotato almeno un posto.

In caso di cancellazione del volo, il vettore, oltre a fornire pasti e bevande al passeggero coinvolto, assicurargli la sistemazione in albergo con il trasferimento e il diritto ad effettuare due telefonate (ovviamente tutto a titolo gratuito), deve offrirgli la scelta tra il rimborso, entro sette giorni, del prezzo pieno del biglietto, tra un volo di ritorno al punto di partenza iniziale, tra un volo verso la destinazione finale non appena possibile o in una data di gradimento del passeggero.

Inoltre, il vettore deve riconoscere al passeggero la compensazione pecuniaria prevista dall’articolo 7, a meno che esso sia stato informato della cancellazione almeno due settimane prima dell’orario di partenza previsto, ovvero, in caso di avvertimento in data più vicina alla partenza, gli sia stata offerto un volo alternativo.

La compensazione pecuniaria è pari a:
a) 250 EUR per tutte le tratte aeree inferiori o pari a 1 500 chilometri;

b) 400 EUR per tutte le tratte aeree intracomunitarie superiori a 1 500 chilometri e per tutte le altre tratte comprese tra 1 500 e 3 500 chilometri;

c) 600 EUR per le tratte aeree che non rientrano nei precedenti casi.

Nel determinare la distanza si utilizza come base di calcolo l’ultima destinazione per la quale il passeggero subisce un ritardo all’arrivo rispetto all’orario previsto a causa del negato imbarco o della cancellazione del volo.

Il vettore aereo non è tenuto a pagare la compensazione pecuniaria, se può dimostrare che la cancellazione del volo è dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso.

L’ipotesi del ritardo, invece, è disciplinata dall’art. 6 del regolamento n. 261/2004 e ricorre quando si può ragionevolmente prevedere che il volo sarà ritardato, rispetto all’orario di partenza previsto:

a) di due o più ore per tutte le tratte aeree pari o inferiori a 1.500 km; o

b) di tre o più ore per tutte le tratte aeree intracomunitarie superiori a 1.500 km e per tutte le altre tratte aeree comprese tra 1 500 e 3.500 km; o

c) di quattro o più ore per tutte le altre tratte aeree che non rientrano nei casi precedenti.

In tali casi, il vettore aereo dovrà fornire le assistenze ed i servizi gratuiti (pasti e bevande, sistemazione e trasferimento in albergo, telefonate, rimborso del prezzo pieno) a seconda della prevedibile durata del ritardo.

Dunque, in caso di ritardo il regolamento non prevede il pagamento della cd. compensazione pecuniaria.

Ma, in relazione a fattispecie piuttosto ricorrenti nella pratica, si è posto un dubbio interpretativo: se un prolungato ritardo del volo debba essere considerato alla stregua di una cancellazione del volo.

La questione, come visto, non è di poco conto in quanto il regolamento n.261/2004 prevede espressamente il diritto alla compensazione solo in caso di cancellazione del volo.

Secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia Europea, un volo è «ritardato», nell’accezione di cui all’art. 6 del regolamento n. 261/2004, se viene effettuato in conformità alla programmazione originariamente prevista e se l’orario di partenza effettivo viene ritardato rispetto all’orario di partenza previsto. In altre parole, il Giudice comunitario considera rilevante ai fini della determinazione del ritardo unicamente un differimento dell’orario di partenza previsto, dovendo gli altri elementi rimanere immutati.

Di conseguenza, da una prima analisi, emerge che un volo ritardato, a prescindere dalla durata del ritardo, e quand’anche essa sia stata significativa, non può essere considerato cancellato quando comporta una partenza in conformità alla programmazione originariamente prevista.

Ciò considerato, quando i passeggeri si trovano su un volo il cui orario di partenza è ritardato rispetto all’orario di partenza inizialmente previsto, il volo può essere qualificato come «cancellato» solo se il vettore aereo provvede al trasporto dei passeggeri su un altro volo la cui programmazione originaria differisce da quella del volo originariamente previsto.

Quindi, in linea di principio, si può parlare di una cancellazione quando il volo inizialmente previsto e ritardato si riversa in un altro volo, ossia quando la programmazione del volo originario è abbandonata e i passeggeri di quest’ultimo si uniscono a quelli di un volo a sua volta programmato, indipendentemente dal volo per il quale i passeggeri in tal modo trasferiti avevano effettuato la loro prenotazione.

Dunque, in linea di principio, non si può giungere alla conclusione che si è verificato un ritardo o una cancellazione di un volo in base all’indicazione d’un «ritardo» o d’una «cancellazione» apparsa sul tabellone elettronico dell’aeroporto o comunicata dal personale del vettore aereo. Allo stesso modo, in linea di principio, la circostanza che i passeggeri ritirino i bagagli o ottengano nuove carte d’imbarco non rappresenta un elemento decisivo. Tali circostanze, infatti, non sono collegate alle caratteristiche oggettive del volo in quanto tale. Esse possono essere imputabili ad errori di qualificazione o a fattori verificatisi nell’aeroporto coinvolto o, ancora, possono risultare necessarie in considerazione della durata dell’attesa e dell’esigenza, per i passeggeri coinvolti, di passare una notte in albergo.

Alla luce di quanto precede occorre concludere che un volo ritardato, a prescindere dalla durata del ritardo e quand’anche essa sia stata significativa, non può essere considerato cancellato quando è realizzato in conformità alla programmazione originariamente prevista dal vettore aereo.

Nonostante queste deduzioni sembrerebbero condurre ad una facile conclusione in ordine alla esclusione della compensazione pecuniaria in favore dei passeggeri di voli “ritardati”, la Corte di Giustizia Europea (Quarta sezione, sentenza 19 novembre 2009 nei procedimenti riuniti C‑402/07 e C‑432/07), richiamandosi ai principi di parità di trattamento in situazioni analoghe e di accrescimento della tutela dei passeggeri del traffico aereo, finisce col conferire uguale dignità, sotto il profilo risarcitorio, al disagio subito dai passeggeri “ritardati” e quello dei passeggeri “cancellati”.

Il regolamento n. 261/2004, afferma infatti la Corte, mira a risarcire i danni in modo standardizzato ed immediato ed attraverso diverse forme di intervento oggetto di regimi relativi al negato imbarco, alla cancellazione e al ritardo prolungato di un volo.

Mediante tali interventi il regolamento intende rimediare, tra l’altro, al danno cagionato ai passeggeri interessati e rappresentato da una perdita di tempo che, considerato il suo carattere irreversibile, può essere risarcita unicamente con una compensazione pecuniaria.

Orbene, afferma la Corte, “è innegabile che tale danno viene patito sia dai passeggeri di voli cancellati sia dai passeggeri di voli ritardati qualora, prima di giungere a destinazione, subiscano un viaggio di durata maggiore rispetto a quanto originariamente stabilito dal vettore aereo, e che essi si trovano pertanto in situazioni paragonabili ai fini dell’applicazione del diritto alla compensazione pecuniaria previsto dall’art. 7 del regolamento n. 261/2004“.

Più precisamente, la situazione dei passeggeri di voli ritardati non si distingue affatto da quella dei passeggeri di voli cancellati a cui sia stato offerto di partire con un volo alternativo e che possono essere informati della cancellazione del volo, in extremis, nel momento stesso in cui giungono all’aeroporto. Infatti, da un lato, tali due categorie di passeggeri sono informate, in linea di massima, nello stesso momento dell’inconveniente che rende più difficoltoso il loro trasporto aereo. Dall’altro, sebbene vengano condotte alla loro destinazione finale, la raggiungono successivamente all’ora inizialmente prevista e, pertanto, subiscono un’analoga perdita di tempo.

In tale situazione, i passeggeri cui è offerto un volo alternativo hanno diritto alla compensazione pecuniaria quando il vettore non offre loro un volo alternativo che parte non più di un’ora prima dell’orario di partenza previsto e raggiunge la destinazione finale meno di due ore dopo l’orario d’arrivo previsto. A tali passeggeri viene così conferito il diritto alla compensazione pecuniaria quando subiscono una perdita di tempo pari o superiore a tre ore rispetto alla durata che era stata originariamente prevista dal vettore.

Per contro, qualora ai passeggeri di voli ritardati non fosse conferito il diritto alla compensazione pecuniaria, essi sarebbero trattati in modo meno favorevole sebbene abbiano subito, all’occorrenza, un’analoga perdita di tempo, di tre ore o più, in occasione del loro viaggio.

Da queste premesse, poiché i danni subiti dai passeggeri del traffico aereo in caso di cancellazione o di ritardo prolungato sono analoghi, non è ammissibile, a pena di violare il principio della parità di trattamento, trattarli in modo differente.

Pertanto, conclude la Corte, i passeggeri di voli ritardati possono reclamare il diritto alla compensazione pecuniaria previsto dall’art.7 del regolamento quando, a causa di tali voli, subiscono una perdita di tempo pari o superiore a tre ore, ossia quando giungono alla loro destinazione finale tre ore o più dopo l’orario di arrivo originariamente previsto dal vettore aereo.

DiRaffaele Boccia

Danni da cantiere stradale: chi risponde?

Secondo il più recente orientamento della Cassazione, nel caso di danni determinati dall’esistenza di un cantiere stradale, occorre distinguere:

a) se l’area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode;

b) se, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e quindi insiste il cantiere, risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. (in concreto non escludibile a carico dell’ente per le dimensioni necessariamente ridotte dell’area adibita a cantiere) sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente, salva l’eventuale azione di regresso di quest’ultimo nei confronti del primo a norma dei comuni principi sulla responsabilità solidale di cui al comma 2 dell’art. 2055 c.c., sulla base anche degli obblighi di segnalazione e manutenzione imposti dalla legge per opere e depositi stradali (art. 21 d. lgs. n. 285 del 1992), nonché di quelli eventualmente discendenti dalla convenzione di appalto (Cass. 16 maggio 2008 n. 12425; Cass. 6 luglio 2006 n. 15383).

Cassazione civile sez. III, 22 febbraio 2008 n. 4591

DiRaffaele Boccia

Del furto consumato salendo sui ponteggi dei lavori di rifacimento dell’immobile condominiale

Con riguardo al danno derivante per il furto consumato da persone introdottesi in un appartamento avvalendosi dei ponteggi installati per i lavori di riattazione dello stabile condominiale, deve essere affermata la responsabilità ex art. 2043 c.c. dell’imprenditore che per tali lavori si avvale dei ponteggi ove, trascurando le più elementari norme di diligenza e di perizia e così la doverosa adozione di cautele idonee ad impedire l’uso anomalo delle dette impalcature e violando il principio, pertanto, del “neminem laedere”, abbia colposamente creato un agevole accesso ai ladri ponendo in essere le condizioni per il verificarsi del danno.

Può sussistere la concorrente responsabilità del condominio/committente ex art. 2051 c.c., se non ha vigilato sull’osservanza delle minime precauzioni anti-furto da parte dell’appaltatore (culpa in vigilando), ovvero allorché risulti che abbia scelto un’impresa appaltatrice manifestamente inadeguata per l’esecuzione dell’opera (culpa in eligendo) (Cassazione civile  sez. III, 17 marzo 2009 n. 6435).

In merito alla responsabilità del committente, si segnala che questa pronuncia prende le mosse dalla sentenza (Cassazione civile  sez. III, 22 febbraio 2008 n. 4591) con cui, in tema di appalto di opere pubbliche, il giudice di legittimità ha affermato la responsabilità del committente per il semplice fatto che la pubblica amministrazione conserverebbe rilevanti poteri di ingerenza e controllo sull’opera dell’appaltatore.

Con l’arresto da ultimo segnalato, la S.C., senza sconfessare il precedente orientamento, opera un’apertura nell’ambito delle ipotesi di responsabilità del committente. Invero, prima si escludeva la responsabilità di questi ex art. 2051 c.c., in quanto si assumeva che con la consegna della res all’appaltatore venisse meno il potere di fatto sulla cosa, e con esso la responsabilità del custode. A tale regola si faceva eccezione quando fosse configurabile una responsabilità del committente per culpa in eligendo (e quindi ex art. 2043 c.c., non ex art. 2051 c.c.), come, ad esempio quando l’opera fosse stata affidata ad un’impresa assolutamente inidonea, ovvero quando l’appaltatore in base a patti contrattuali sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente, e abbia agito quale nudus minister attuandone specifiche direttive (Cass. 26 giugno 2000 n. 8686; Cass. 24 febbraio 1996 n. 1456).

 

DiRaffaele Boccia

Il procedimento europeo di ingiunzione di pagamento

Il Regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 istituisce un procedimento europeo di ingiunzione di pagamento che sveltisce le controversie transfrontaliere in materia di crediti pecuniari non contestati nel campo civile e commerciale.

Il regolamento, in vigore dal 2008, garantisce la libera circolazione delle ingiunzioni di pagamento europee all’interno di tutti gli Stati membri definendo norme minime la cui osservanza rende inutile qualsiasi procedura intermedia nello Stato membro di esecuzione in via preliminare al riconoscimento e all’esecuzione stessa.

Campo di applicazione

La procedura europea di ingiunzione di pagamento si applica in materia civile e commerciale nelle controversie transfrontaliere, a prescindere dalla natura della giurisdizione.

Per “controversia transfrontaliera” si intende una controversia nella quale almeno una delle parti abbia il proprio domicilio o risieda abitualmente in uno Stato membro diverso dallo Stato membro della giurisdizione adita. Il regolamento si applica a tutti gli Stati membri esclusa la Danimarca.

L’applicazione della presente procedura non è prevista per le materie fiscali, doganali o amministrative né per la responsabilità di uno Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (“acta jure imperii“).

Sono esclusi altresì:

i regimi matrimoniali;
i fallimenti, concordati e altre procedure analoghe;
la previdenza sociale;
crediti derivanti da obbligazioni non contrattuali, tranne ove abbiano formato oggetto di un accordo fra le parti o vi sia stato riconoscimento del debito, o ancora se i crediti riguardano debiti liquidi risultanti da coproprietà di un bene.

Procedimento

Il regolamento una domanda di ingiunzione di pagamento europea, nella quale devono figurare gli elementi seguenti:

il nome e l’indirizzo delle parti o dei loro rappresentanti;
il nome e l’indirizzo del giudice cui è presentata la domanda;
l’importo del credito (capitale e interessi, penalità contrattuali e altre spese eventuali);
il fondamento dell’azione e una descrizione delle circostanze invocate come base del credito, nonché le prove a sostegno della domanda;
il carattere transfrontaliero della controversia.
La domanda firmata può essere introdotta su supporto cartaceo o mediante qualsiasi altro mezzo di comunicazione, anche elettronico, accettato dallo Stato membro nel quale l’ingiunzione di pagamento europea è emessa (“Stato membro di origine”) e che il giudice che emette un’ingiunzione di pagamento europea (“giudice di origine”) sia in grado di utilizzare.

I crediti pecuniari in causa devono essere liquidi ed esigibili alla data in cui la domanda di ingiunzione di pagamento europea viene introdotta.

La competenza delle giurisdizioni è disciplinata dalle norme comunitarie in materia, in particolare dal regolamento (CE) n. 44/2001. Se il credito è connesso con un contratto concluso da un consumatore per un uso ritenuto estraneo alla sua attività professionale e ove il convenuto sia il consumatore, sono competenti solo i giudici dello Stato membro in cui il convenuto è domiciliato (articolo 59 del regolamento (CE) n. 44/2001).

Provvedimento

Il giudice a cui è presentata la domanda di ingiunzione di pagamento europea valuta quanto prima se siano soddisfatte le condizioni di ammissibilità (carattere transfrontaliero della controversia in materia civile e commerciale, competenza del giudice adito, ecc.) e se la domanda sembri fondata.

Il giudice può sottoporre al ricorrente una proposta di modifica della domanda se essa soddisfa solo una parte delle condizioni previste.

Entro un dato termine, il ricorrente è invitato ad accettare o a rifiutare la proposta di ingiunzione di pagamento europea relativa a un ammontare fissato dal giudice. Il ricorrente viene reso edotto delle conseguenze della propria decisione e trasmette la sua risposta rinviando il modulo.

Se il ricorrente accoglie la proposta del giudice, questi emette un’ingiunzione di pagamento europea per la parte della domanda che il ricorrente stesso ha accettato. Le conseguenze che ne derivano per la restante parte della domanda iniziale sono disciplinate dalla legislazione nazionale. Ove il ricorrente non rispetti il termine fissato dal giudice o rifiuti la proposta del giudice, questi respinge in toto la domanda di ingiunzione di pagamento europea.

Il giudice respinge la domanda qualora

le condizioni richieste non siano riunite;
la domanda non sia fondata;
il ricorrente non completi o rettifichi la domanda nel termine impartito;
il ricorrente non trasmetta la propria risposta nel termine stabilito o rifiuti la proposta del giudice.
Il giudice informa il ricorrente in merito alle ragioni del rigetto tramite il modulo D (allegato IV). Contro il rigetto della domanda non è possibile formare ricorso. Il rigetto non osta tuttavia a che il ricorrente faccia valere il proprio credito tramite una nuova domanda d’ingiunzione di pagamento europea o attraverso qualsiasi altro procedimento previsto dall’ordinamento di uno Stato membro.

Emissione di un’ingiunzione di pagamento europea entro trenta giorni

Ove le condizioni per introdurre una domanda di ingiunzione di pagamento europea siano rispettate, il giudice emette l’ingiunzione di pagamento europea – in linea di massima – entro trenta giorni dall’introduzione della domanda.

Nell’ingiunzione di pagamento europea, il convenuto viene informato che ha la possibilità di pagare al ricorrente l’ammontare del credito, oppure di opporvisi. In quest’ultimo caso, deve presentare opposizione all’ingiunzione di pagamento europea dinanzi al giudice che l’ha emessa (“giudice di origine”).

L’opposizione va proposta entro trenta giorni a decorrere dal momento in cui l’ingiunzione è stata notificata al convenuto.

L’ingiunzione di pagamento europea diverrà esecutiva, tranne ove il convenuto presenti opposizione presso il giudice di origine.

Il regolamento sopprime l’exequatur, ovvero l’ingiunzione di pagamento europea è riconosciuta ed eseguita negli altri Stati membri senza bisogno di una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento. Le procedure di esecuzione sono disciplinate dal diritto nazionale dello Stato membro nel quale l’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento europea viene richiesta (“Stato membro di esecuzione”).

Notifica dell’ingiunzione di pagamento europea al convenuto

L’ingiunzione di pagamento europea viene notificata al convenuto a norma delle disposizioni del diritto nazionale del paese nel quale la notifica va effettuata. Il regolamento prevede norme minime da rispettare per una serie di notifiche con (articolo 13) o senza (articolo 14) prova di ricevimento da parte del convenuto.

L’opposizione all’ingiunzione di pagamento

La persona cui pervenga un’ingiunzione di pagamento europea può presentare opposizione dinanzi al giudice che ha emesso l’ingiunzione di pagamento (“giudice di origine”). L’opposizione deve essere rinviata entro un termine di trenta giorni a decorrere dalla notifica dell’atto.

Nell’opposizione, il convenuto indica che contesta il credito senza essere tenuto a precisarne le ragioni.

Quando il convenuto si oppone all’ingiunzione di pagamento europea, il procedimento prosegue dinanzi alle giurisdizioni dello Stato membro di origine secondo la procedura civile prevista nell’ordinamento nazionale, a meno che il ricorrente non abbia chiesto in tal caso l’estinzione del procedimento.

Allo scadere del termine di trenta giorni per presentare opposizione, il regolamento autorizza il convenuto a chiedere il riesame dell’ingiunzione di pagamento europea dinanzi al giudice che l’ha emessa, qualora

l’ingiunzione di pagamento sia stata notificata senza prova di ricevimento da parte del convenuto (articolo 14) e la notifica non sia avvenuta a tempo per consentirgli di presentare le proprie difese;
il convenuto si sia trovato nell’impossibilità di contestare il credito a causa di situazioni di forza maggiore o di circostanze eccezionali;
l’ingiunzione sia stata emessa a torto.
Quando il giudice respinge la richiesta del convenuto, l’ingiunzione di pagamento europea resta valida. In caso contrario, ove il giudice decida che il riesame è giustificato, l’ingiunzione di pagamento è nulla.

Inoltre, su richiesta del convenuto, l’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento europea è rifiutata dal giudice competente nello Stato membro di esecuzione qualora l’ingiunzione sia incompatibile con una decisione o ingiunzione pronunciata in precedenza in qualsiasi altro Stato membro o in un paese terzo. Tale decisione deve riguardare una causa avente lo stesso oggetto e le stesse parti, oltre a essere riconosciuta nello Stato membro di esecuzione.