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DiRaffaele Boccia

Sulla inammissibilità del ricorso al Giudice per l’esclusione del socio di s.r.l.

Tribunale di Biella, sentenza 7 luglio 2006 – Pres. P. Rava, Est. E. Reggiani.

Società a responsabilità limitata – Richiesta all’autorità giudiziaria di esclusione del socio – Inammissibilità.

L’art. 2473 bis c.c. consente di stabilire nell’atto costitutivo delle s.r.l. specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio, ma non consente di adire il giudice per ottenere una pronuncia che escluda il socio dalla società. In assenza di una previsione legislativa, deve infatti escludersi un potere così penetrante dell’autorità giurisdizionale all’interno della compagine sociale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, parte attrice, socia di minoranza della II.V. s.r.l., impugnava la deliberazione assembleare 18.03.05 di detta società, nella quale, previa approvazione del bilancio al 31.12.04, venivano adottati provvedimenti ex art. 2482 ter c.c. mediante azzeramento del capitale sociale e ricostituzione dello stesso nel minimo legale, che veniva sottoscritto totalmente dall’altro socio.

L’esponente allegava che la deliberazione era viziata perché:

1) il progetto di bilancio, predisposto dall’amministratore, non era stato depositato presso la sede sociale nei quindici giorni antecedenti la data dell’assemblea, come invece previsto dall’art. 2429 comma 3 c.c., applicabile alle società a responsabilità limitata per espresso rinvio operato dall’art. 2478 bis comma 1 c.c.

2) il bilancio approvato presentava numerose irregolarità, che causavano la violazione del principio di chiarezza e di veridicità;

3) l’invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio comportava l’invalidità derivata della deliberazione con la quale veniva azzerato e ricostituito il capitale sociale, la quale comunque doveva ritenersi di per sé viziata, perché aveva arbitrariamente escluso il diritto di opzione dell’attrice sulle partecipazioni di nuova emissione.

Con comparsa ritualmente notificata, si costituiva in giudizio parte convenuta, eccependo in via pregiudiziale il difetto di legittimazione attiva dell’attrice, che non aveva partecipato all’assemblea. Nel merito chiedeva il rigetto delle domande attoree e in via riconvenzionale subordinata l’esclusione dell’attrice dalla società per giusta causa e comunque l’assegnazione alla società di un termine per eliminare le cause della dedotta invalidità.

Nella memoria ex art. 6 d.l.vo 5/03, l’attore replicava alle eccezioni sollevate dai convenuti.

Seguiva la notifica dell’istanza di fissazione di udienza di parte attrice e il deposito di nota ex art. 10 d.l.vo 5/03 di parte convenuta.

Emesso decreto di fissazione di udienza ex art. 12 d.l.vo 5/03, le parti depositavano memorie conclusionali.

All’udienza collegiale, esperito invano il tentativo di conciliazione, le parti procedevano alla discussione orale della causa, all’esito della quale, in applicazione dell’art. 16 comma 5 seconda parte d.l.vo 5/03, veniva depositata la seguente sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’eccezione di difetto di legittimazione dell’attrice

Parte convenuta ha eccepito il difetto di legittimazione dell’attrice, allegando che ai sensi dell’art. 2479 ter c.c. le deliberazioni delle s.r.l. possono essere impugnate “dai soci che non vi hanno consentito” e perciò solo dai soci presenti e dissenzienti, ma non anche da quelli assenti.

L’eccezione è infondata e deve pertanto essere respinta.

D’accordo con la dottrina che si è pronunciata sul punto, si deve rilevare che l’art. 2479 ter c.c. disciplina unitariamente l’impugnazione delle decisioni dei soci di s.r.l., che possono essere adottate, non solo con il metodo assembleare, ma anche mediante consultazione scritta o con l’acquisizione per iscritto del consenso (art. 2479 c.c.).

Ne consegue che la dizione “soci che non vi hanno consentito” comprende tutti i soci che in un modo o nell’atro (deliberazione assembleare, consultazione scritta o acquisizione del consenso scritto) non hanno prestato il consenso alla decisione, sicché, in caso di decisione assunta con il metodo assembleare, tra i “soci che non vi hanno consentito” devono senza dubbio ritenersi compresi i soci assenti, quelli dissenzienti ed anche quelli astenuti.

Le istanze istruttorie

Deve essere interamente richiamato il decreto di fissazione di udienza, nella parte in cui ha ritenuto superflua ogni istanza istruttoria, tenuto conto delle allegazioni delle parti e delle produzioni documentali in atti.

La domanda attorea

Parte attrice ha impugnato le deliberazioni assunte all’assemblea dei soci in data 18.03.05, prospettando vizi che ha individuato come causa di annullabilità (par. 1 e 3 dell’atto di citazione) e vizi che ha individuato come causa di nullità (par. 2 dell’atto di citazione) delle deliberazioni stesse.

Ha quindi chiesto accertarsi e dichiararsi l’invalidità delle deliberazioni per i motivi esposti in atto di citazione.

È quindi evidente che la citazione in giudizio è finalizzata ad ottenere l’annullamento oppure la declaratoria di nullità delle deliberazioni impugnate, a seconda dei diversi motivi prospettati, essendo sia l’annullabilità che l’annullamento ricompresi nell’invocata invalidità delle deliberazioni assunte (cfr. in generale Cass. 17.02.06 n. 3566; v. anche Cass. 26.11.02 n. 16708; 13.12.96 n. 11157).

Il mancato tempestivo deposito del progetto di bilancio

Il motivo d’impugnazione è fondato e deve pertanto essere accolto.

Com’è noto, ai sensi dell’art. 2429 comma 3 c.c. (testo identico a quello vigente prima dell’entrata in vigore del d.l.vo 6/03 e corrispondente nel contenuto all’art. 2432 comma 3 c.c. nel testo anteriore al d.l.vo 127/91), richiamato dall’art. 2478 bis comma 1 c.c. anche per le società a responsabilità limitata, “Il bilancio, con le copie integrali dell’ultimo bilancio delle società collegate, deve restare depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli amministratori e dei sindaci, durante i quindici giorni che precedono l’assemblea, e finché sia approvato. I soci possono prenderne visione.”

E nel caso di specie risulta provato che il progetto di bilancio non è stato depositato nel termine sopra indicato.

Parte attrice ha prodotto una missiva, datata 04.03.05, proveniente da parte convenuta e non disconosciuta, nella quale si legge quanto segue: “Con riferimento al Vs. fax di ieri 3 marzo 2005, Vi informiamo che il progetto di bilancio al 31.12.04 sarà pronto entro i primi giorni della prossima settimana e verrà immediatamente inviato in copia unitamente alla convoca dell’assemblea, che verrà effettuata al più presto entro i termini di legge. I restanti documenti richiesti saranno disponibili presso la ns. sede a partire da venerdì 11 c.m.” (doc. 9 fasc. att.).

La stessa convenuta, nel costituirsi, ha allegato che il progetto è stato trasmesso in copia all’attrice unitamente alla lettera in data 08.03.05 di convoca per l’assemblea del 18.03.05 (pp. 13-14 comparsa conclusionale; doc. 4 fasc. att. e doc. 14 fasc. conv.).

Anche a voler ritenere equipollente l’invio all’attrice del progetto di bilancio al suo deposito presso la sede sociale, risulta tuttavia provato che non è stato comunque rispettato il termine di cui all’art. 2429 comma 3 ult. parte c.c.

Com’è noto, il progetto di bilancio è il principale mezzo di informazione, dal quale il socio può rilevare le notizie sulla situazione economica, finanziaria e patrimoniale della società e, nella disciplina del procedimento di formazione del bilancio delle società di capitali, uno dei beni tutelati è il diritto del socio all’esatta informazione, per poter compiere un esercizio consapevole del diritto di voto nell’assemblea fissata per l’approvazione del bilancio stesso.

L’obbligo di deposito del (progetto di) bilancio nei quindici giorni antecedenti tale assemblea è strumentale a tale funzione di assicurare il soddisfacimento del diritto del socio ad essere informato.

Il bene giuridico tutelato è il diritto del socio all’informazione e tale tutela è soddisfatta con la previsione che il progetto di bilancio resti depositato per tutto il periodo indicato (“il progetto di bilancio deve restare depositato … durante i quindi giorni che precedono l’assemblea”).

In altre parole è lo stesso legislatore che individua i tempi e i modi attraverso cui l’esigenza di consultazione e di adeguata informazione dei soci è da ritenersi soddisfatta, sicché non solo il mancato deposito, ma anche il tardivo deposito, costituisce violazione della disposizione in esame.

È del tutto irrilevante il riferimento di parte convenuta al fatto che in data 24.02.05 un tecnico di fiducia dell’attrice si è recato presso la sede sociale, per visionare la documentazione relativa al bilancio e per ricevere una bozza del bilancio sociale. È infatti incontestato che tale bozza sia diversa da quella poi presenta e approvata in assemblea (v. pp. 13-14 comparsa di risposta).

Ed è altresì irrilevante ogni riferimento alle dedotte difficoltà nell’accedere alla documentazione contabile, prospettate da parte attrice, essendo sufficiente, in relazione al dedotto motivo di impugnazione, l’accertato mancato rispetto del termine appena menzionato.

Parte convenuta ha allegato che nella specie l’assemblea era stata convocata, non solo per approvare il bilancio, ma anche per provvedere sull’accertata a riduzione del capitale per perdite, sicché non avrebbe dovuto applicarsi l’art. 2429 comma 3 c.c. ma l’art. 2482 bis comma 2 ult. parte c.c., il quale prevede che “se l’atto costitutivo non prevede diversamente, copia della relazione e delle osservazioni deve essere depositata nella sede della società almeno otto giorni prima dell’assemblea, perché i soci possano prenderne visione”.

Il rilievo è infondato.

È infatti possibile convocare l’assemblea ordinaria per l’approvazione del bilancio ed insieme l’assemblea straordinaria per l’adozione dei provvedimenti necessitati dall’accertata riduzione del capitale per perdite, ma tale evenienza non esime dal rispetto delle regole previste per l’una e l’altra deliberazione e in particolare, per quanto riguarda l’approvazione del bilancio, il rispetto del termine per il deposito dello stesso.

Anzi, come rilevato da attenta giurisprudenza di legittimità, la violazione delle regole previste per l’approvazione del bilancio determina l’invalidità non solo della deliberazione di approvazione del bilancio, ma anche di quella che, presupponendo tale approvazione, statuisce sulle modalità da seguire per ripianare le perdite (Cass. 18.08.93 n. 8760).

La stessa giurisprudenza ha evidenziato che le norme che disciplinano la formazione del bilancio – ovvero quelle che indicano i modi di formazione del documento, i criteri ai quali debbono ispirarsi le singole poste, le regole della sua pubblicità, e quindi quelle sulle deliberazioni eventualmente discendenti – danno luogo ad una tipica fattispecie procedimentale, nella quale la scansione dei tempi e delle fasi individua momenti e luoghi di verifica del comportamento degli organi sociali, e del funzionale esercizio del diritto del socio al controllo di gestione.

L’approvazione del bilancio è pertanto ritenuta una precisa fase procedimentale, giacché se il bilancio indica utili, l’assemblea può decidere la distribuzione o la creazione di riserve, se invece indica perdite, l’assemblea deve deliberare a tutela dell’integrità del capitale sociale.

Al rilievo procedimentale suddetto consegue la natura formale della irregolarità costituita dalla eventuale violazione, da parte degli amministratori, delle regole sulla formazione del bilancio, prime fra tutte quelle sulla pubblicità verso i soci.

La rilevazione delle perdite a mezzo del bilancio regolarmente approvato può dunque condurre a decidere la riduzione del capitale, ma la mancata osservanza delle prescrizioni procedimentali previste per l’approvazione del bilancio, oltre a condurre alla invalidità della deliberazione di assemblea ordinaria, travolge la delibera di riduzione che la presuppone (v. ancora (Cass. 18.08.93 n. 8760).

La deliberazione di approvazione del bilancio al 31.12.04 deve pertanto essere annullata, per violazione dell’art. 2429 comma 3 c.c., richiamato dall’art. 2478 bis comma 1 c.c., e devono altresì essere annullate le ulteriori deliberazioni assunte ex art. 2479 ter c.c. per invalidità derivata.

La domanda riconvenzionale subordinata di esclusione dell’attrice dalla società

La richiesta di adozione di una pronuncia di esclusione di un socio da una società a responsabilità limitata non può essere proposta.

L’art. 2473 bis c.c. consente di stabilire nell’atto costitutivo delle s.r.l. specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio, ma non consente di adire il giudice per ottenere una pronuncia che escluda il socio dalla società.

In assenza di una previsione legislativa, deve pertanto escludersi un potere così penetrante dell’autorità giurisdizionale all’interno della compagine sociale, qual è quello in questa sede invocato (ubi lex voluti dixit, ubi noluit tacuit).

Né assume alcun rilievo l’invocato richiamo al disposto dell’art. 2287 comma 2 c.c. in materia di società di persone, tenuto conto che si tratta di disposizione eccezionale, che non consente l’applicazione analogica a fattispecie non espressamente richiamate.

La richiesta di concessione di termine ex art. 2479 ter c.c.

Non sussistono elementi per ritenere opportuna l’assegnazione di un termine per eliminare la causa dell’invalidità, tenuto conto della natura del vizio accertato – che non richiede una qualche modifica alla deliberazione impugnata, ma il totale rinnovo dell’iter che ha portato alla sua adozione – e della possibilità, già esistente ma non utilizzata, di sostituire spontaneamente in pendenza di causa la deliberazione impugnata (art. 2377 comma 8 c.c., richiamato dall’art. 2479 ter comma 8 c.c.).

L’iscrizione del dispositivo della presente sentenza

Ai sensi dell’art. 2378 comma 6 c.c., richiamato dall’art. 2479 ter comma 8 c.c., il dispositivo della presente sentenza deve essere iscritto, a cura dell’amministratore della società, nel registro delle imprese competente.

le spese di causa

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e gravano pertanto su parte convenuta.

P.Q.M.

il Tribunale di Biella ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando:

1) annulla le deliberazioni assunte dall’assemblea dei soci della II.V. s.r.l. in data 18.03.05;

2) dispone che il dispositivo della presente sentenza sia iscritto, a cura dell’amministratore della società, nel registro delle imprese competente;

3) dichiara tenuta e condanna parte convenuta al pagamento delle spese processuali sostenute da parte attrice, che liquida in complessivi euro 3.200,00 (di cui euro 1.193,65 per diritti ed euro 361,37 per spese), oltre 12,5% su diritti ed onorari ex art. 14 t.f., Iva e Cpa.

Biella, 07.07.06


DiRaffaele Boccia

Niente straordinario ai Vigili Urbani senza l’autorizzazione del dirigente

Si segnala l’orientamento consolidato del Tribunale di Nola – sezione Lavoro e Previdenza, in merito alla domanda di pagamento dello straordinario svolto dal Vigile Urbano ex art.38 CCNL Regioni ed autonomie locali.

I dipendenti municipali, attraverso l’esibizione dei cartellini marcatempo, dimostravano (e la circostanza era pacificamente ammessa dal Comune resistente) di aver svolto un’ora di straordinario alla settimana, e precisamente 36 ore a fronte delle 35 previste dall’art.22 del CCNL Regioni autonomie locali 01/04/1999, che ha disciplinato la riduzione dell’orario, e dall’art.13 del Contratto collettivo decentrato integrativo del 13/12/2000 per il corpo di Polizia Municipale.

Il Tribunale campano ritiene (sentenze nn.79, 1065, 1255, 1256, 2370, tutte del 2010) che, ai sensi dell’art.38, II comma, CCNL del 14/09/2000, la prestazione di lavoro straordinario deve essere espressamente autorizzata dal dirigente, sulla base delle esigenze organizzative e di servizio individuate dall’ente, rimanendo esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione.

La retribuibilità del lavoro straordinario è, quindi, condizionata dall’esistenza di una formale autorizzazione allo svolgimento di prestazioni di lavoro eccedenti l’ordinario orario di lavoro: detta autorizzazione svolge una pluralità di funzioni (tutte rferibili alla concreta attuazione dei principidi legalità, imparzialità e buon andamento cui, ai sensi dell’art.97 Cost., deve essere improntata l’azione della pubblica amministrazione), comportando innanzitutto la verifica in concreto della sussistenza delle ragioni di pubblico interesse che rendono necessario il ricorso a prestazioni lavorative eccedenti l’orario normale di lavoro (ex pluribus, TAR Sardegna, sentenza 30 gennaio 2009 n.102; Consiglio di Stato, sentenza 24 maggio 2007 n.2648; Consiglio di Stato, sentenza 10 febbraio 2004 n.472; C.d.S., sentenza 24 dicembre 2003 n.8522; sent.14 marzo 2002, n.1531; sent.27 giugno 2001, n.3503; sent. 8 marzo 2001, n.1352).

Inoltre, essa rappresenta lo strumento più adeguato per evitare, per un verso, che attraverso incontrollate erogazioni di somme per prestazioni di lavoro straordinario si possano superare i limiti di spesa fissati dalle previsioni di bilancio (con grave nocumento dei conti pubblici) e, per altro verso, che i pubblici dipendenti siano assoggettati a prestazioni lavorative che, eccedendo quelle ordinarie, possano creare al dipendente nocumento alla salute ed alla sua dignità di persona.

D’altronde, la preventiva autorizzazione allo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario costituisce assunzione di responsabilità, gestionale e contabile, per il dirigente che la emette; e ciò sia nel caso che per tale svolgimento sia preventivamente stabilita l’erogazione del relativo compenso, sia nel caso che lo stesso dia luogo, per il lavoratore, ad un “credito” in termini di riposo compensativo, in entrambi i casi l’autorizzazione de qua incidendo sul buon andamento del servizio e sulla economica ed efficiente gestione delle risorse umane, facente capo al dirigente.

Si ringrazia per la segnalazione l’Avv. Dario Areniello

DiRaffaele Boccia

Cassazione: commette evasione fiscale chi non dichiara i proventi da attività illecita

Il soggetto che non dichiara i proventi dell’attività illecita risponde di evasione fiscale.

È con la sentenza n. 42160 depositata il 29 novembre 2010 che la Corte di Cassazione ha condannato una donna che nell’anno 2003 non aveva dichiarato più di 196 mila euro guadagnati dall’attività di sfruttamento della prostituzione, attività provata sulla base della sentenza irrevocabile della Corte di Appello di Trento. I giudici della terza sezione penale, hanno motivato la sentenza spiegando che “i giudici di merito hanno ritenuto assoggettabili a tassazione i redditi provenienti da attività illecita con riferimento all’art. 14 comma 4 l. 537/1993, secondo cui “nelle categorie di reddito di cui all’art. 6 comma 1 del testo unico della imposte sui redditi, approvato con DPR 22.12.1986 n. 917 devono intendersi ricompresi se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro”.

Anche di recente questa Corte ha ribadito che “…secondo l’interpretazione autentica fornita dall’art. 14 comma quarto della legge n. 537 del 1993 con riguardo al testo unico sulle imposte dei redditi n. 917 del 1986, tra le categorie dei redditi tassabili classificate nell’art. 6, comma primo, devono intendersi ricompresi anche i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo (cfr Cass. Sez. V, n. 7411 del 19.11.2009, conf. N. 3124 del 1996 rv 204967; n. 220 del 1997 rv. 207201)”.

La Corte, infine, afferma (sulla base dell’eccezione sollevata dalla difesa secondo cui con la denuncia di quei redditi la donna si sarebbe automaticamente autodenunciata) che “l’essere i redditi considerati come redditi tassabili non toglie, ai proventi in questione, il carattere di illiceità loro proprio e non esclude la punibilità dell’attività illecita che li ha generati; né infine col principio dell’obbligo di concorso nelle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva di ciascuno, perché la tassazione dei proventi illeciti tale principio rafforza e riafferma” (cfr. Cass. pen. se. 3 n. 220 del 24.1.1997).

DiRaffaele Boccia

Boom dei pignoramenti immobiliari

Boom dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari. Secondo i dati dell’Adusbef, quest’anno sono aumentati del 31,8% rispetto al 2009, con punte del 54,8% a Torino. “L’insostenibile crisi economica – sottolinea l’associazione dei consumatori – porta sempre piu’ famiglie italiane a non poter onorare le rate dei mutui, impegno sempre piu’ gravoso che mangia il 33% del reddito e si traduce, per almeno 350 mila famiglie, in un rischio di insolvenza”.

L’Adusbef chiede dunque urgentemente un “decreto salva-famiglie”, con sgravi fiscali per i redditi sotto i 25mila euro. Secondo l’associazione dei consumatori “le stime 2010 sul numero di pignoramenti ed esecuzioni, potrebbe salire del 69,35% in media, che sommati agli ultimi due anni, (+22,3 nel 2008, +15,7 nel 2009), ammontano al 60,5% nel triennio 2008/2010”.

Gli aumenti maggiori si registrano a Milano (+1.592, che ammontano quindi a 4.885), seguita da Torino (+930 con un totale di 2.627); Roma (+728, con un totale di 2.703); Monza (+424, con un totale di 1.539); Verona (+425 per un totale di 1.996); Bergamo (+416, pari a 1.586); Lecce (+365 per un totale di 1.586); Brescia (+290 con un totale di 1.408); Genova (+336 con un ammontare di 1.053); Bari (+340 che assommano a 1.390); Firenze (+199, che ammontano a 987); Padova (+168 per 1.067 pignoramenti).

Insomma, serve il “decreto salva-famiglie a favore di lavoratori a reddito fisso e dei pensionati, per attutire le gravi ricadute sull’economia reale che gia’ sconta una recessione da economia di guerra che diventera’ piu’ pesante nei prossimi mesi quando il crack finanziario globale dispieghera’ i suoi effetti sulle fasce sociali piu’ deboli e vulnerabili prive di ammortizzatori sociali”.

Fonte Tgcom

DiRaffaele Boccia

Se mi aumenta il premio per un sinistro che non ho fatto

Gentile avvocato, nel recarmi a pagare il premio dell’auto, ho trovato, con mio grande sconcerto, un aumento rilevante ed un doppio declassamento.  Ho chiesto spiegazioni e l’agente mi riferisce che risulterebbe un sinistro a mio carico che non mi risulta e che è stato anche liquidato alla controparte. E’ una profonda ingiustizia. In vita mia non ho fatto mai incidenti. Mi dà un consiglio? (Carmela)

Gentile signora, lei può richiedere alla sua Assicurazione copia degli atti relativi al procedimento di valutazione, constatazione e liquidazione dei danni del sinistro che le risulta addebitato. Quindi, invii subito una lettera raccomandata alla sede legale della Compagnia, chiedendo chiarimenti in merito al sinistro liquidato ed evidenziando di non aver mai ricevuto comunicazione alcuna di apertura di un sinistro in suo danno.

Infatti, le Compagnie assicuratrici, in caso di ricezione di una richiesta di risarcimento danni, sono tenute a notiziarne per iscritto il proprio assicurato chiedendo conferma o smentita del fatto. Solo in caso di ammissione di responsabilità del proprio assicurato (o di suo silenzio), infatti, possono provvedere a pagare. Laddove manchino comunicazioni scritte dell’Assicurazione, il sinistro addebitatole andrà senz’altro cancellato.

E’ il caso della cd. “mala gestio“, che ricorre quando la compagnia ha gestito in maniera non corretta la procedura di apertura e liquidazione del sinistro. In ipotesi, il sinistro non può essere addebitato neppure quando lo stesso è effettivamente avvenuto, e la compagnia ha risarcito i danni alla controparte omettendo di richiedere informazioni al suo assicurato. Si consideri, comunque, che l’assicurato ha sempre il dovere di denunciare ogni sinistro alla Compagnia entro tre giorni (termine previsto dal codice civile, ma non ritenuto perentorio).

Tornando alla nostra richiesta, se non riceve risposta entro 60 giorni (di solito così capita), oltre a segnalare il comportamento all’ISVAP per l’applicazione delle sanzioni del caso, può richiedere il ripristino della classe di merito esistente prima del sinistro e del relativo premio, nonchè il rimborso delle somme indebitamente corrisposte in seguito all’illegittimo declassamento.