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DiRaffaele Boccia

Animali nel condominio: il divieto va deliberato all’unanimità

Segnaliamo una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sez. II, sentenza 15.02.2011 n° 3705) che ha stabilito che il divieto di tenere animali domestici all’interno della propria abitazione e nelle parti comuni del condominio deve essere deliberato con l’unanimità dei consensi dei partecipanti al condominio stesso.

Il caso di specie trae origine dall’impugnazione di una delibera assembleare che, a maggioranza, aveva modificato una clausola del regolamento condominiale introducendo il detto divieto.

La Suprema Corte ha chiarito che le clausole del regolamento condominiale che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà incidono sui diritti dei condomini, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca (Cass. 13164/2001); ne consegue che tali disposizioni hanno natura contrattuale, in quanto vanno approvate e possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari, dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica: certamente, tali disposizioni esorbitano dalle attribuzioni dell’assemblea, alla quale è conferito il potere regolamentare di gestione della cosa comune, provvedendo a disciplinarne l’uso e il godimento.

Ciò posto, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva (12028/1993).

DiRaffaele Boccia

Responsabilità medica: operazione mal riuscita in clinica privata

buongiorno avvocato, x caso girando su internet ho visitato il suo sito e mi è sembrato subito interessante… volevo proporre un quesito e avere una risposta se possibile… essendomi operato di intervento chirurgico x eliminare un deficit visivo come la miopia… dopo un paio di mesi ho cominciato ad avere problemi x il distacco del vitro ….cosa che è andata peggiorando sempre più.. volevo sapere ho diritto ad un risarcimento essendo stato operato in una struttura privata dal chirurgo? e se si da chi? dal chirurgo o dalla struttura clinica? visto che io ho parlato solo con il chirurgo e con nessuno di questa clinica privata… ringrazio in anticipo x una risposta. arrivederci (P., email)

Gentile signore, in casi del genere, dopo aver visionato la documentazione medica, il consiglio che do è quello di andare a consulto da un medico specialista il quale potrà confermare l’esistenza del nesso causale tra la prestazione medica eseguita ed il danno lamentato, e redigere una relazione da utilizzare come punto di partenza per una causa per risarcimento dei danni.

Nel suo caso, potrebbe essere ravvisata una responsabilità della struttura sanitaria (o del medico) laddove il peggioramento ed il danno da Lei lamentato siano derivati da una non corretta esecuzione della prestazione sanitaria, cioè siano in qualche modo addebitabili ad una colpa del medico che l’ha operata ovvero ad un non esatto adempimento degli obblighi che ricadono sulla struttura sanitaria.

Difatti, bisogna considerare che, oltre al rapporto (ed al contratto) che sorge tra paziente e medico, si va ad instaurare anche un altro contratto (cd. di spedalità) tra la struttura ospedaliera, sia essa pubblica che privata, ed, appunto, il paziente.

Conseguentemente, può ravvisarsi anche nella condotta della clinica privata l’inadempimento di obbligazioni che le sono proprie nel rapporto anzidetto, a prescindere anche da una imperizia del personale medico nell’esecuzione dell’operazione.

In virtù del contratto, la struttura deve, infatti, fornire al paziente una prestazione assai articolata, che va ben oltre la fornitura di prestazioni alberghiere, comprendendo anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario, paramedico, l’apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicazioni, prestazione definita genericamente di “assistenza sanitaria”, che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi cd. di protezione ed accessori.

La valutazione su chi citare in giudizio, quindi, non può prescindere da una preliminare analisi degli specifici obblighi incombenti su medico e clinica e della loro eventuale violazione.

DiRaffaele Boccia

Il danno cagionato alla madre divorziata dal figlio maggiorenne

Buongiorno, sono una mamma divorziata con un figlio maggiorenne. La settimana scorsa ha avuto un incidente per asfalto scivoloso. La macchina ha subito un grosso danno. Vorrei sapere se il padre spetta la metà del danno in quanto la macchina è di mia proprietà? Grazie. cordiali saluti (Anna, email)

Gentile signora, se la responsabilità per il sinistro è addebitabile esclusivamente a suo figlio (e non, ad esempio alla condotta, anche concorrente, di altro automobilista), lui deve rispondere, in quanto maggiorenne, delle conseguenze della sua imperizia.

Chiunque, avendo la capacità di intendere e volere, cagiona ad altri un danno, è tenuto a risarcirlo: in questo caso, solo lei potrebbe richiedergli i danni, non potendo pretendere il risarcimento da nessun altro.

Suo marito è tenuto a contribuire al mantenimento del figlio maggiorenne, se non autosufficiente dal punto di vista economico, ma nel caso da lei prospettato ritengo che i danni esulano dal concetto di mantenimento e incombono esclusivamente sul ragazzo. Ritengo molto difficile poter sostenere che questo tipo di spesa, poichè cagionata a chi è tenuto al mantenimento, rientra tra quelle straordinarie, al pari di quelle mediche o di istruzione, cui ciascun genitore è tenuto a partecipare.

In tal senso, ho rinvenuto una pronuncia del Tribunale di Piacenza (sentenza del 02/02/2010 n. 82) che ha ritenuto che, laddove l’auto sia intestata alla madre e non sia normalmente in uso al figlio, la spesa per la riparazione della stessa non può essere considerata spesa straordinaria e, come tale, a carico dei genitori nella misura prevista nelle condizioni di separazione.

Piuttosto, se il sinistro si è verificato a causa di un’insidia presente sulla sede stradale (ad esempio, olio sulla carreggiata), potrebbe ipotizzarsi una responsabilità dell’Ente proprietario della strada (normalmente il Comune).

Per completezza, vale la pena ricordare che dal punto di vista penale non è punibile chi abbia commesso il reato di danneggiamento in danno di un parente prossimo (art.649 c.p.).

DiRaffaele Boccia

Deposito cauzionale nella locazione: chi lo restituisce in caso di successione di proprietari

Il mio inquilino mi ha comunicato che lascerà l’appartamento per motivi di lavoro, dandomi un preavviso di cinque mesi. Mi chiede anche la restituzione della cauzione, che però ha dato al vecchio proprietario, avendo io acquistato la casa quando già il contratto di locazione era in corso. Ma devo restituirla io o il vecchio proprietario? Grazie (Donato, email)

Gentile signore, in relazione al deposito cauzionale, nel caso di alienazione dell’immobile locato, l’acquirente subentra nei diritti e negli obblighi nascenti dal contratto di locazione, e così anche nell’obbligazione di restituzione del deposito cauzionale versato dal conduttore, a nulla rilevando che il venditore non abbia consegnato il relativo importo al momento del trasferimento di proprietà.

Infatti, può presumersi che l’importo della cauzione sia stato considerato in sede di pattuizione del prezzo di compravendita dell’immobile e solo se dall’atto di acquisto risulta che il venditore si è impegnato a corrispondere questa somma al conduttore lei potrà ritenersi liberato da questo obbligo. Diversamente, sarà lei a pagare, salvo il suo diritto di ritenere la cauzione in caso di danni all’immobile.

Va pure detto che il preavviso di cinque mesi che ha ricevuto non è regolare. Esso, se previsto in contratto, deve essere almeno di sei mesi; se non previsto, deve essere sempre di sei mesi e sorretto da gravi motivi. Il che significa che lei avrebbe diritto a vedersi pagato il canone per i sei mesi successivi alla ricezione della comunicazione. Dunque, lei potrebbe concordare con il conduttore la restituzione di una sola mensilità della cauzione (che, salvo patto contrario, è produttiva di interessi), imputando l’altra ad indennità per mancato preavviso.

DiRaffaele Boccia

lo sfratto

Che cos’è

E’ la procedura con cui il proprietario di un immobile può rientrare nel possesso dello stesso alla scadenza del contratto ovvero in caso di morosità del conduttore

Il procedimento

In caso di scadenza del contratto, che deve essere ovviamente preceduta dall’invio della disdetta entro il termine previsto nel contratto (normalmente, sei mesi prima in caso di locazione ad uso abitativo e 12 ad uso diverso), il locatore può intimare al conduttore la licenza per finita locazione (prima della scadenza) ovvero lo sfratto (dopo la scadenza), notificandogli una citazione a comparire innanzi al Tribunale ove verrà, eventualmente, convalidato lo sfratto.

Analogamente, in caso di morosità del conduttore.

Si ricorda che per essere considerati morosi è sufficiente il mancato pagamento di una sola rata del canone e che tale situazione si protragga per oltre 20 giorni dal termine convenuto nel contratto, ovvero il mancato pagamento di oneri accessori superiori a due mensilità di canone. In tali ipotesi, il locatore ha facoltà di richiedere, contestualmente alla convalida dello sfratto, l’ingiunzione al pagamento dei canoni scaduti.

Tra il giorno in cui perviene l’atto e l’udienza devono esserci almeno venti giorni liberi.

All’udienza, se il conduttore intimato non comparisce o, comparendo, non si oppone, il giudice convaliderà la licenza o lo sfratto, disponendo l’apposizione della formula esecutiva (necessaria affinché l’Ufficiale Giudiziario possa procedere ad eseguire lo sfratto).

Se l’intimato non compare, la formula esecutiva ha effetto solo dopo trenta giorni dalla sua apposizione.

In caso di sfratto per morosità, la convalida è subordinata all’attestazione in udienza da parte dell’avvocato del locatore che la morosità persiste.

Nella sola locazione ad uso abitativo, il conduttore moroso, presentatosi personalmente (non è necessario in questa fase essere difesi da un legale), può pagare direttamente in udienza (“banco iudicis”) ovvero richiedere un termine per sanare la morosità (“purgare la mora”). Il Giudice può discrezionalmente concedere un termine non superiore a 90 giorni, fissando nuova udienza ove verificherà l’avvenuto pagamento dei canoni scaduti e degli oneri accessori maturati, nonchè degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede, ovvero, in mancanza, convaliderà lo sfratto.

La possibilità di sanare la morosità in giudizio è limitata a tre-quattro volte, in casi eccezionali, nell’arco di un quadriennio.

Opposizione del conduttore

All’udienza fissata l’intimato ha facoltà di proporre eccezioni (inerenti, ad esempio, l’invalidità o inesistenza della disdetta, o ancora l’avvenuto pagamento dei canoni).

Se le eccezioni non sono fondate su prova scritta, il giudice può comunque ordinare il rilascio. Se l‘intimato contesta l’ammontare dei canoni, il giudice può ordinare il pagamento delle somme non contestate in un termine non superiore a venti giorni. Se il conduttore non ottempera, il giudice convalida lo sfratto e, se del caso, emette decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni.

La causa, in ogni caso, proseguirà.