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DiRaffaele Boccia

Colpa medica per chi opera paziente senza speranza

Il chirurgo che opera un paziente affetto da patologie che non lasciano speranza di vita agisce in violazione del codice deontologico anche nel caso in cui sia stato il paziente stesso a dare il proprio consenso all’intervento. E’ quanto ha stabilito la IV sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza 13746) confermando la condanna di tre medici dell’ospedale San Giovanni di Roma che nel dicembre del 2001 avevano sottoposto a laparoscopia prima e laparotomia poi una 44enne, malata terminale per “plurime affezioni neoplastiche”, causandole lesioni “non tempestivamente identificate”, con conseguente emorragia letale.

“VIOLAZIONE REGOLE DI PRUDENZA” – Nel maggio di due anni fa era stata la Corte d’appello di Roma a confermare la sentenza emessa il 20 marzo 2008 dal Tribunale di Roma con la quale, concesse le attenuanti generiche, erano stati condannati rispettivamente a dodici, dieci e otto mesi di reclusione Cristiano H., Carmine N. e Andrea M., primario chirurgo il primo, suoi ‘aiutanti’ gli altri due. Omicidio colposo il reato contestato e ora prescritto, poiché sono trascorsi più di nove anni. “Il prioritario profilo di colpa in cui versavano gli imputati – scrivono i giudici di piazza Cavour – è stato evidenziato dalla stessa Corte (d’appello, ndr) nella violazione delle regole di prudenza, applicabili nella fattispecie, nonchè delle disposizioni dettate dalla scienza e dalla coscienza dell’operatore”.

“DISPREGIO CODICE DEONTOLOGICO” – Nel caso concreto, “attese le condizioni indiscusse ed indiscutibili della paziente (affetta da neoplasia pancreatica con diffusione generalizzata, alla quale restavano pochi mesi di vita e come tale da ritenersi ‘inoperabile’) non era possibile fondatamente attendersi dall’intervento (pur eseguito in presenza di consenso informato della donna, madre di due bambine e dunque disposta a tutto pur di ottenere un sia pur breve prolungamento della vita) un beneficio per la salute e/o un miglioramento della qualità della vita”. I chirurghi, pertanto, “avevano agito in dispregio al codice deontologico che fa divieto di trattamenti informati a forme di inutile accanimento diagnostico-terapeutico”. I giudici di secondo grado avevano ravvisato la sussistenza del nesso di causa “nell’omessa, tempestiva identificazione delle lesioni” causa dell’emorragia, “avuto riguardo anche alle condizioni cliniche della paziente (rese manifeste dalla diagnosi di plurime affezioni neoplastiche formulate anche da un chirurgo ricercatore straniero che si occupava di cancro del pancreas) già note prima dell’intervento e soprattutto dei valori ematici nonchè della sintomatologia di anemizzazione che la stessa aveva presentato nel decorso post-operatorio”.

DiRaffaele Boccia

Il conduttore che prima comunica il recesso e poi non vuole lasciare la casa

Gentile Avvocato, il mio inquilino mi comunicava con raccomandata di voler recedere dal contratto con il preavviso di sei mesi. Scaduti i sei mesi, è ancora in casa e non accenna ad andarsene, nonostante io avessi già preso impegni con altra persona per l’affitto. Posso sfrattarlo? Che tempi ci sono? Posso chiedere i danni? Grazie (Gianni, email)

Salve.

II procedimento per convalida di licenza per finita locazione  non è azionabile non ricorrendone i presupposti previsti dal legislatore, tra i quali non c’è la ipotesi del recesso esercitato dal conduttore.

In questo caso, deve esercitarsi un’azione di intervenuta risoluzione del contratto per esercizio dei diritto di recesso unilaterale (a norma dell’art. 1373 c.c.).

La citata conclusione è coerente con la legge n. 392 del 27 luglio 1978 che all’art. 4 prevede che, se la facoltà di recesso non è attribuita al conduttore da specifiche pattuizioni contrattuali, potrà comunque esser esercitata ove ricorrano gravi motivi: proprio la loro sussistenza non potrebbe in alcun modo esser valutata e apprezzata in un procedimento a struttura sommaria qual è quello di convalida di finita locazione.

La differenza di azioni comporta sicuramente una notevole differenza in termini di tempi, in quanto la procedura per convalida di sfratto, che ha natura sommaria, è particolarmente rapida (l’udienza può essere fissata a venti giorni dalla notifica e la convalida, ricorrendone i presupposti, viene disposta già in prima udienza). Altra cosa sono poi i tempi per ottenere coattivamente la liberazione dell’immobile, che dipendono anche dalla solerzia dell’Ufficiale Giudiziario.

Per l’azione di risoluzione, invece, deve instaurarsi un ordinario giudizio di cognizione che ha certamente durata più lunga (i tempi variano da Tribunale e Tribunale e non è possibile fare una previsione, ma siamo sempre nell’ordine di qualche anno).

In merito alla questione dei danni, dovrebbe poter dimostrare che aveva già concluso altro contratto di locazione con un canone maggiore.

DiRaffaele Boccia

Avvocati: nuova astensione dalle udienze 14 e 15 aprile

L’Assemblea dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana riunitasi in data 25 marzo 2011 in Roma presso la Cassa Forense in Via Ennio Quirino Visconti,8

Rilevato

Che il 20 marzo 2011 è entrata in vigore la restante parte del decreto legislativo n.28/2010 che, stabilendo la obbligatorietà della mediaconciliazione, danneggia i cittadini e limita l’accesso alla giustizia;

Che, come più volte denunciato dall’Avvocatura, il decreto legislativo 28/2010 favorisce i poteri forti e calpesta i diritti dei deboli e dei cittadini comuni;

Che la obbligatorietà della mediaconciliazione è viziata per eccesso di potere e per violazione degli artt. 3,24,76,77 e 97 della Costituzione;

Che l’obbligatorietà della media conciliazione, oltre che limitare l’accesso alla  Giustizia:

comporta per il cittadino notevoli costi non giustificati;

non prevede l’assistenza necessaria dell’avvocato;

consente al conciliatore di formulare una proposta senza il consenso delle parti, che può  avere effetti pregiudizievoli per la parte vittoriosa in giudizio anche con il pagamento di una sostanziosa penale;

non prevede criteri legali per  la individuazione della competenza territoriale (con possibilità di  invitare il cittadino a  conciliare anche a 1000 km di distanza);

Che è in atto un processo di privatizzazione selvaggia della giustizia civile  che favorisce, tra l’altro, speculazioni e conflitti d’interesse, con caduta di etica  e carenza di  rigore ;

Che tale distorsione dei fini di giustizia emerge chiaramente dall’esistenza di 415 sedi di  società di capitali, abilitate a svolgere un ruolo nella conciliazione, che non possono assicurare i requisiti di trasparenza, indipendenza e terzietà previsti inderogabilmente dalla legge delega e dal decreto legislativo n. 28/2010;

Che unitamente alla privatizzazione della giustizia civile è in atto un progetto di vera  e propria rottamazione dell’arretrato delle controversie civili, programmata con la presentazione di un disegno di legge che:

affida a circa “600 ausiliari” la trattazione delle cause;

fissa la perenzione dei giudizi in appello e in cassazione con termini perentori per confermare la volontà del cliente di proseguire la fase giudiziale;

stabilisce la possibilità dell’emanazione di una sentenza con motivazione breve e parziale e con un termine perentorio assegnato alle parti per chiederne la integrale motivazione previo pagamento di un ulteriore contributo;

Che tale disegno di legge viola i diritti dei cittadini a ricevere giustizia e il connesso diritto di difesa,e costituisce un maldestro tentativo per risolvere il problema dello smaltimento dell’arretrato;

Che l’Avvocatura è preoccupata per la ricaduta sul processo penale delle prospettate riforme della giustizia.

Conferma

lo stato di agitazione dell’ Avvocatura

Proclama

l’astensione dalle udienze civili, penali, amministrative, contabili e tributarie e da ogni attività giudiziaria per i giorni 14 e 15 aprile 2011, nel rispetto della normativa di legge in materia  di  “autoregolamentazione”

Indice

una pubblica manifestazione di denuncia e di protesta per giovedì 14 aprile 2011 a Roma alle ore 10.00, presso il Teatro Adriano, P.zza Cavour,22

Invita

gli avvocati ed i cittadini a prendere parte a detta manifestazione

Invita

i Consigli degli Ordini e le Associazioni Forensi ad organizzare, insieme ai Delegati dell’OUA, nel giorno venerdì 15 aprile assemblee aperte ai cittadini e alla società civile per spiegarne le motivazioni

Dispone

trasmettersi la presente delibera al Consiglio Nazionale Forense, a tutti i Presidenti degli Ordini territoriali, alle Unioni Distrettuali degli Ordini, alle Associazioni Forensi nonchè al Presidente della Repubblica, al Ministro della Giustizia, ai Presidenti delle Camere, ai Presidenti delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato e ai  Responsabili giustizia dei partiti.

Roma 25 marzo 2011

DiRaffaele Boccia

Condominio: i balconi aggettanti sono di proprietà esclusiva

I balconi aggettanti son quei balconi caratterizzati per avere il piano di calpestio sporgente rispetto alla facciata dello stabile.

Sulla annosa questione della loro natura (di proprietà comune o esclusiva del singolo condomino) si è espressa nuovamente la Cassazione confermando il suo orientamento: essi sono di proprietà esclusiva del proprietario dell’appartamento a cui afferiscono.

“i balconi aggettanti, i quali sporgono dalla facciata dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno, né di necessaria copertura dell’edificio – come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio – non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di proprietà comune dei proprietari di tali piani; pertanto ad essi non può applicarsi il disposto dell’art. 1125 c.c.: i balconi aggettanti, pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono”.

Cassazione civile , sez. II, sentenza 05.01.2011 n° 218

DiRaffaele Boccia

Sospensione della patente: permesso speciale per motivi di lavoro

Salve. Ieri mi è stata applicata la sospensione della patente per un’infrazione al codice della strada. La Polizia mi ha ritirato la patente dicendomi che mi arriverà la comunicazione della prefettura. Volevo sapere che tempi ci sono e se posso oppormi in qualche modo, considerando anche che l’auto è l’unico mezzo che mi consente di andare al lavoro (abito in una zona molto isolata). Grazie (Davide, email)

Gentile sig. Davide, il codice della strada prevede per alcuni tipi di violazioni la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida.

Per rispondere alle sue domande, posso dire che, a parte una contestazione di merito della violazione (lei non ritiene di aver commesso l’infrazione o ha delle scusanti) che va presentata con ricorso al Prefetto o al giudice di Pace, ma i cui tempi sono sempre piuttosto lunghi e quindi non le eviterebbero gli effetti della sospensione, a meno di non chiedere, in via d’urgenza, che il Giudice disponga la provvisoria sospensione della sospensione (mi scusi l’inevitabile gioco di parole), il Prefetto ha 15 giorni per emanare l’ordinanza di sospensione, con l’indicazione della durata della stessa.

Qualora l’ordinanza di sospensione non sia emanata nel termine di quindici giorni, il titolare della patente può ottenerne la restituzione da parte della prefettura (art.218, comma 2, codice della strada).

Pertanto, questo è il primo controllo da effettuare, perchè in mancanza dell’ordinanza del prefetto, può fare istanza alla prefettura per riavere subito la patente.

Venendo al secondo quesito, il legislatore ha tenuto in conto le particolari necessità di chi utilizzi l’auto per recarsi al lavoro ovvero per i lavoratori (madre o, in alternativa, padre) per l’assistenza ai minori con handicap, lo stesso art.218 c.d.s. consente a chi ha subito la sospensione della patente di presentare istanza al prefetto per ottenere un permesso di guida, per determinate fasce orarie, e comunque di non oltre tre ore al giorno, adeguatamente motivato e documentato per ragioni di lavoro, qualora risulti impossibile o estremamente gravoso raggiungere il posto di lavoro con mezzi pubblici o comunque non propri.

Questo speciale permesso di guida non può essere concesso nel caso in cui dalla commessa violazione sia derivato un incidente  e per non più di una sola volta in costanza della sospensione.

Il periodo di sospensione è aumentato di un numero di giorni pari al doppio delle complessive ore per le quali è stata autorizzata la guida, arrotondato per eccesso. L’ordinanza che reca l’autorizzazione alla guida, determinando espressamente fasce orarie e numero di giorni, è notificata immediatamente all’interessato, che deve esibirla ai fini della guida nelle situazioni autorizzate.

Per chi abusi di questo speciale permesso di guida, utilizzandolo fuori dai limiti previsti  dall’ordinanza del prefetto, la legge è molto severa, prevedendo la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.886 a euro 7.546. Si applicano, inoltre, le sanzioni accessorie della revoca della patente e del fermo amministrativo del veicolo per un periodo di tre mesi.