Archivio degli autori Raffaele Boccia

DiRaffaele Boccia

Tempo ragionevole e riparazione per l’eccessiva durata dei processi

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo obbliga gli Stati contraenti ad organizzare il proprio sistema giudiziario in modo che la giurisdizione possa assolvere ad ogni tipo di esigenza, garantendo una durata ragionevole delle procedure.

Lo Stato italiano, al fine di sopperire al ritardo strutturale che caratterizza ogni giudizio, ha introdotto, con la legge Pinto (L.89/2001), un ricorso esclusivamente di tipo indennitario che, pur garantendo il diritto ad un’equa riparazione per il danno patrimoniale e morale subito, non è in grado di offrire una soluzione adeguata al problema della durata del contenzioso.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha stabilito un parametro tendenziale, adottato dalle Corti d’Appello chiamate a decidere sui ricorsi in materia di equa riparazione, che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità.

Da questo parametro è tuttavia possibile discostarsi, purché in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, dando applicazione ai criteri dettati dall’art. 2 l. n. 89/01.

Il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e va ritenuto sussistente, senza bisogno di specifica prova (diretta o presuntiva), in ragione dell’obiettivo riscontro di detta violazione, sempre che non ricorrano circostanze particolari che ne evidenzino l’assenza nel caso concreto.

La quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo. Tuttavia, tale cifra deve valere in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non deve essere inferiore a euro 1000 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente quest’ultimo periodo determina uevidente aggravamento del danno (Cassazione, I sezione civile, sentenza 14 ottobre 2009, n. 21840).

È possibile derogare a tali parametri, ma è indispensabile che tale deroga sia giustificata dalle circostanze concrete della singola vicenda (l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento, il comportamento della parte istante) e che sia motivata e non irragionevole.

Non si può, invece, riconoscere una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una certa entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta soltanto in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia. I Giudici europei hanno, infatti, solamente affermato che il bonus deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia rivesta una certa importanza e, stilando un elenco, meramente esemplificativo, hanno indicato, tra le varie controversie, quelle di lavoro e previdenziali. Ciò significa escludere l’applicazione di qualunque automatismo: non basta che la controversia abbia un determinato oggetto o una particolare natura per riconoscere, automaticamente, il bonus. Questo si deve applicare soltanto, qualora, in seguito ad una valutazione operata dal Giudice di merito, una determinata causa rivesta una certa importanza per la parte.

Siete stati vittime della lentezza della Giustizia? Allora possiamo aiutarvi.

Art. 2 L.89/2001

(Diritto all’equa riparazione)

1. Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione.

2. Nell’accertare la violazione il giudice considera la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione.

3. Il giudice determina la riparazione a norma dell’articolo 2056 del codice civile, osservando le disposizioni seguenti:

a) rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di cui al comma 1;

b) il danno non patrimoniale è riparato, oltre che con il pagamento di una somma di denaro, anche attraverso adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell’avvenuta violazione.

DiRaffaele Boccia

Cambiale protestata: come riabilitarsi

La cancellazione dal Registro Informatico dei protesti può essere richiesta da:

debitore che esegue il pagamento di una cambiale o di un vaglia cambiario (unitamente ad interessi maturati e spese di protesto) entro 12 mesi dalla levata del protesto;

ufficiali levatori o gli istituti di credito, quando è stato proceduto illegittimamente od erroneamente alla levata del protesto (cambiali assegni);

chiunque dimostri di aver subito a proprio nome un protesto erroneo o illegittimo (cambiali e assegni);

debitore a cui il Presidente del Tribunale ha accordato il provvedimento di riabilitazione (cambiali e assegni).

Il debitore che provveda al pagamento della cambiale o del vaglia cambiario oltre il termine di 12 mesi dalla levata del protesto, per ottenere la cancellazione dal Registro informatico deve chiedere:
la riabilitazione al Presidente del Tribunale e successivamente presentare istanza di cancellazione al Presidente della Camera di Commercio;
oppure può chiedere l’inserimento dell’ informazione aggiuntiva dell’avvenuto pagamento nel Registro Informatico.

ASSEGNI

la normativa non prevede la cancellazione del protesto per gli assegni, anche se il pagamento è avvenuto entro un anno dalla levata del protesto. Quindi il debitore che provvede al pagamento dell’assegno può chiedere, dopo un anno dalla levata del protesto, la riabilitazione al Presidente del Tribunale competente e successivamente inoltrare istanza di cancellazione dal Registro Informatico al Presidente della Camera di Commercio (stesso iter per la cambiale pagata dopo un anno dalla levata del protesto).

Cos’è l’informazione aggiuntiva

L’informazione aggiuntiva è una richiesta di annotazione dell’avvenuto pagamento del titolo quando non può essere richiesta la cancellazione delle cambiali e degli assegni protestati.

Alla domanda presentata allo sportello della Camera di Commercio occorre allegare:

Titolo in originale o copia conforme
Quietanza di pagamento o dichiarazione sostitutiva dell’ atto notorio
Documento d’identità valido
Marca da bollo da 14,62 Euro da apporre sulla domanda

DiRaffaele Boccia

Avvocati: ritornano i minimi inderogabili e il divieto di patto di quota-lite

Nella seduta del 20 ottobre il Senato ha approvato gli emendamenti sul testo proposto dalla Commissione Giustizia in tema di nuovo ordinamento della professione forense.

Le modifiche sostanziali riguardano il ripristino della vincolatività e dell’inderogabilità dei minimi tariffari e la reintroduzione del divieto del patto di quota-lite, restando invece nella disponibilità delle parti (avvocato-cliente) la derogabilità dei massimi tariffari, con unica condizione l’accordo redatto per iscritto a pena di nullità.

L’Assemblea ha riaffermato la natura personale dello svolgimento dell’attività professionale e quindi la responsabilità individuale dell’avvocato anche se componente di un’associazione o società e anche qualora l’avvocato si faccia sostituire o coadiuvare. Si precisa inoltre che la collaborazione tra avvocati, seppur continuativa, non può dare luogo a rapporto di lavoro subordinato.

Si è, altresì, previsto che albi, elenchi e registri istituiti presso ciascun Consiglio dell’ordine devono essere disponibili anche tramite pubblicazione sul sito internet, e sono trasmessi annualmente al Consiglio nazionale forense. Non passa invece la proposta che il difensore d’ufficio debba essere pescato solo dall’elenco degli specialisti in diritto penale.

L’obbligo della formazione obbligatoria continua è prevista adesso sino al raggiungimento del 25esimo anno di iscrizione all’albo professionale, e sono esentati gli avvocati che abbiano compiuto il 60esimo anno di età e i legali impegnati negli enti locali.

Il Senato ha poi approvato l’articolo 11 concernente l’assicurazione per la responsabilità civile.

In particolare, si prevede l’obbligo per ogni avvocato di stipulare una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione, obbligo la cui violazione configura illecito disciplinare.


DiRaffaele Boccia

Il conduttore può recedere per gravi motivi dalla locazione

Gentile avvocato, il conduttore può recedere dal contratto di locazione prima della scadenza effettiva, se nel contratto non è prevista questa possibilità ? Paolo

Indipendentemente da quanto previsto nel contratto di locazione, la legge consente al conduttore di recedere dallo stesso in presenza di gravi motivi (art.4 e art.27 L.392/78). Questo sia per locazione abitative che ad uso diverso.

I gravi motivi che legittimano il recesso non possono attenere alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dallo stesso conduttore in ordine all’opportunità o meno di continuare ad occupare l’immobile locato, poiché, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso ad nutum, contrario all’interpretazione letterale, oltre che allo spirito della legge.

Al contrario, i gravi motivi devono sostanziarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto ed inoltre devono essere tali da rendere oltremodo gravosa per lo stesso conduttore, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo.

Un esempio piuttosto ricorrente potrebbe essere quello del trasferimento del conduttore in altro comune resosi necessario per motivi di lavoro (trasferimento ad altra sede aziendale), ovvero, come in un caso all’esame del Tribunale di Bari (sentenza 2383/2004), quello della presenza in alcuni ambienti dell’appartamento locato di vistosi fenomeni di umidità e di condensa tali da compromettere la salubrità degli ambienti stessi.

Per locazioni ad uso non abitativo, è stato ritenuto legittimo il recesso in caso di mancata realizzazione di un progettato centro commerciale (all’interno del quale erano ubicati i locali oggetto di locazione) che aveva imprevedibilmente fatto sfumare l’atteso sviluppo commerciale della zona, ovvero in presenza di un andamento della congiuntura economica sopravvenuto ed oggettivamente imprevedibile (sia favorevole che sfavorevole all’attività di impresa) che obblighi il conduttore ad ampliare o ridurre la struttura aziendale (situazione che rende gravoso il persistere della locazione).

In ogni caso (abitativo e non), il conduttore è tenuto a dare preavviso di sei mesi al locatore a mezzo lettera raccomandata con l’indicazione specifica del grave motivo.

DiRaffaele Boccia

Chi è il consumatore

L’art.3 del Codice del consumo (D. Lgs. 6 settembre 2005 n.206), riprendendo la definizione dell’art.1469 bis c.c., definisce il consumatore (o l’utente) come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.

La questione ha rilievo anche sotto il profilo processuale, in quanto, riconoscendosi in capo ad un soggetto del rapporto contrattuale la qualifica di consumatore, risulterà applicabile, ai fini dell’individuazione del giudice competente a conoscere la controversia, il cd. Foro del consumatore, corrispondente al giudice del luogo in cui l’utente ha la propria residenza o il proprio domicilio elettivo, ex art. 33, comma 2, lett. u), codice del consumo.

Per il passato la giurisprudenza di merito aveva fatto registrare alcune pronunce (Tribunale di Roma 20 ottobre 1999; Tribunale di Lucca 4 luglio 2000) secondo le quali poteva riconoscersi la qualifica di consumatore, ai fini dell’applicazione della disciplina favorevole prevista dalla normativa richiamata, anche al professionista o all’imprenditore per il quale la conclusione del contratto non era atto della professione come lo era per la sua controparte.

Si sosteneva, in buona sostanza, che i contratti al di fuori dell’oggetto dell’attività professionalmente svolta dalla persona fisica (ovvero non diretti a realizzarne in via immediata lo scopo), pur se ad essa strumentalmente collegati, erano riconducibili alla disciplina di favore prevista dal codice civile, consentendo l’applicazione delle garanzie da essa previste. Per esemplificare, si riconosceva la qualifica di consumatore al mediatore immobiliare che acquistava un computer con l’intenzione di destinarlo alla sua attività, in quanto detto contratto era estraneo a quello tipico dell’attività del mediatore (concludere contratti di vendita immobiliare); ovvero, che era consumatore l’avvocato che affidava ad un corriere una sua lettera diretta ad un cliente.

La giurisprudenza, attualmente, superati gli iniziali dubbi interpretativi, si è attestata su posizioni ormai consolidate.

La «tutela forte» di cui alla disciplina del codice del consumo spetta, innanzitutto, solo alle persone fisiche, quindi non alle società (la lettera della norma è chiara in questo senso).

Si è, inoltre, affermato che anche la persona fisica che svolga attività imprenditoriale o professionale può essere considerata «consumatore» soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attività.

La natura di consumatore va riconosciuta anche al condominio che è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti. Il rapporto contrattuale instaurato dall’amministratore non vincola questo in quanto tale, ma i singoli condomini e l’amministratore opera come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini. Ne consegue che, poiché i condomini vanno senz’altro considerati consumatori, essendo persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, anche al contratto concluso dall’amministratore del condominio con il professionista, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, si applica la normativa in esame.

Invece, per «professionista» deve intendersi tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che utilizzi il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Perché ricorra la figura del «professionista» non è pertanto necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, essendo sufficiente che esso venga posto in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale.

Casistica

In quest’ottica la Cassazione (9 novembre 2006 n. 23892) ha ritenuto che non sia qualificabile come consumatore l’avvocato che sottoscrive un contratto di assicurazione per i danni legati all’esercizio della sua attività di professionista, in quanto stipulato allo scopo, strettamente connesso con la sua attività professionale, di garantirsi dai rischi della responsabilità civile cui può essere esposto il professionista per lo svolgimento della sua attività.

Parimenti, deve escludersi la qualifica di consumatore, nell’ambito di un contratto di utenza di apparecchio radiomobile, in capo ad un avvocato che faccia uso della telefonia mobile anche per l’esercizio della sua attività professionale (Cass. 22 maggio 2006 n. 11933); all’utente della prestazione sanitaria resa da una azienda ospedaliera pubblica con oneri a carico del Servizio Sanitario Nazionale (Cassazione civile sez. III, 02 aprile 2009, n. 8093); al debitore esercente l’attività di impresa per un contratto di fideiussione prestato a suo favore e relativo a un debito collegato a tale attività (Cass. 13 giugno 2006 n. 13643); al commercialista che sottoscrive un contratto di fornitura di una banca dati giuridica in formato elettronico in presenza di elementi che comprovano che il contratto è stipulato nel quadro della sua attività professionale, ovvero una imprenditrice agricola nei confronti della compagnia di assicurazione con cui aveva stipulato un contratto per la copertura dei rischi derivati dall’attività dell’azienda.