L’art. 548 c.p.c. – nella formulazione introdotta con il D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Istituzione del giudice unico di primo grado) – prevedeva che se il terzo pignorato non compariva all’udienza stabilita ai sensi dell’art. 543 c.p.c. o, comparendo, rifiutava di fare la dichiarazione, o se intorno alla stessa sorgevano contestazioni, il giudice, su istanza di parte, provvedeva all’istruzione della causa a norma del libro secondo del codice di rito. Tale previsione, peraltro, differiva da quella del ‘42 solo per l’eliminazione del riferimento all’ufficio del pretore, soppresso con il citato D.Lgs. n. 51 del 1998, e, di conseguenza, alla necessità di assegnare un termine perentorio per riassumere il giudizio davanti al tribunale, nel caso in cui la causa eccedesse i limiti della competenza pretorile.
Dunque, originariamente la legge non distingueva fra il caso dell’omessa dichiarazione e quello della dichiarazione reticente o comunque di contenuto contestato. In tutte le ipotesi, il creditore che voleva ottenere una pronuncia sull’esistenza e sulla consistenza del credito che egli aveva inteso pignorare, era tenuto ad introdurre il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato. Tale giudizio che si svolgeva ai sensi del libro secondo del codice di procedura civile, ossia nelle forme del giudizio ordinario di cognizione, con il conseguente regime di acquisizione della prova e i relativi strumenti impugnatori. L’unica agevolazione di cui godeva colui che introduceva il giudizio di accertamento era costituita dalla circostanza che la condotta del terzo che, avendo omesso di rendere la dichiarazione innanzi al giudice dell’esecuzione, non l’avesse resa neppure nel corso del primo grado, poteva essere equiparata alla mancata risposta nel caso di interrogatorio formale (art. 548c.p.c., comma 2).
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