La Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 25513/17, depositata il 26 ottobre, ritorna sulla vexata questio dell’onere del creditore in opposizione allo stato passivo di riprodurre i documenti già allegati alla domanda di ammissione al passivo e trasmessi a mezzo pec al Curatore, ribadendo l’importante principio di non dispersione della prova già acquisita al processo.
Questi i passaggi fondamentali della pronuncia della Suprema Corte:
La questione sottesa ai motivi di ricorso concerne l’interpretazione dell’art. 99 legge fall. nella parte in cui prevede che il ricorso in opposizione debba contenere “a pena di decadenza l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti” (art. 99, comma 2, n. 4), dovendosi verificare se tale norma imponga o meno al creditore opponente l’onere di depositare i documenti già prodotti nella fase di ammissione al passivo innanzi al giudice delegato e dunque contenuti nel fascicolo di parte.
In alcuni precedenti arresti pertinenti al tema, questa Corte ha espresso il principio secondo il quale il creditore avrebbe l’onere di riprodurre siffatti documenti nel giudizio di opposizione, optando per un’interpretazione estensiva della decadenza (che imporrebbe quindi al creditore non solo l’onere di indicare ma anche di ridepositare, in sede di opposizione, i documenti contenuti nel fascicolo di parte predisposto per la fase di ammissione al passivo) e valorizzando il principio dispositivo che governerebbe il giudizio di opposizione, aggiungendo che il tribunale non può supplire all’inattività colpevole del ricorrente (Cass. n. 25174 del 2015; n. 493 del 2012; n. 22711 del 2010) e precisando che, in caso di mancato rideposito dei documenti di parte, il tribunale non dovrà dichiarare l’improcedibilità dell’opposizione ma semplicemente verificare se quelli eventualmente prodotti dal creditore siano o meno idonei a dimostrare la sussistenza del credito vantato (Cass. n. 20746 del 2015).
Un orientamento parzialmente differente, pur ponendo in risalto l’onere per il creditore di depositare nuovamente i documenti nel procedimento di opposizione allo stato passivo (con conseguente preclusione, in linea di principio, per il tribunale di acquisirli d’ufficio), ha escluso che il creditore incorra nella decadenza nell’ipotesi in cui sia dato ravvisare, nel ricorso in opposizione, la concomitanza di due condizioni e cioè che il creditore abbia specificamente indicato i documenti posti a fondamento dell’opposizione (con formula non di stile ed in modo da non lasciare dubbi sulla loro identità) e contestualmente abbia formulato istanza di acquisizione dei documenti richiamati; tale istanza troverebbe il proprio riconoscimento normativo nel disposto dell’art. 90 legge fall. che, se pure diretto a regolare i rapporti tra il creditore ed il giudice delegato, avrebbe “un ambito oggettivo di applicazione ampio” e perciò valevole anche nel procedimento di opposizione allo stato passivo (Cass. n. 16101 del 2014, e n. 26639 del 2016).
Diversi sono però gli argomenti che inducono questa Corte a precisare ed in parte modificare le considerazioni poste a fondamento dei due orientamenti sopra richiamati.
In primo luogo un rilievo non trascurabile va assegnato al risultato esegetico che agevolmente si ricava dall’inciso contenuto nell’art. 99, comma 2, n. 4 legge fall. che, nel delineare il concreto perimetro dell’effetto decadenziale, opera un preciso riferimento alla “indicazione specifica”, ad opera del creditore, “dei documenti prodotti”. La norma, dunque, lungi dal prevedere un onere per il ricorrente di produrre i documenti unitamente al deposito del ricorso, fa semplicemente riferimento alla necessità di elencare, nell’atto introduttivo, i documenti già dimessi e versati agli atti del processo, per cui se un effetto preclusivo può ricavarsi dall’esame del dato normativo, esso va riferito non già alla necessità di ridepositare il materiale precostituito e già prodotto ma, semmai, all’impossibilità per il creditore di avvalersi, successivamente al deposito del ricorso, di documenti nuovi, differenti sia da quelli utilizzati in sede di verifica innanzi al giudice delegato sia da quelli prodotti per la prima volta al momento dell’opposizione.
L’intero dettato dell’art. 99, comma 2, n. 4 legge fall. depone inoltre nel senso che le esigenze di concentrazione processuale, che il legislatore vuole perseguire anche nel giudizio di opposizione, impongono al creditore di indicare, in via ultimativa ed al momento del ricorso, tutti i mezzi di prova ed i documenti di cui intende avvalersi innanzi al tribunale, sicché è solo quel materiale che ha titolo per restare nel processo, escludendosi, nel corso del giudizio, la possibilità di avvalersi di mezzi di prova nuovi o di documenti differenti da quelli già prodotti ed indicati nell’atto introduttivo.
Se questa è allora la ragione che giustifica la previsione della decadenza, non vi è ragione di estenderne la portata fino a provocare un effetto ulteriore e non voluto dal legislatore (attraverso l’imposizione dell’onere a carico del creditore di produrre nuovamente innanzi al tribunale documenti già depositati), anche in considerazione del fatto che le norme in tema di decadenza, per loro natura, sono di stretta interpretazione (Cass. n. 4351 del 2016): al contrario l’evidenza che si ricava dall’utilizzo letterale del participio congiunto (in funzione aggettivale) “prodotti”, riferito ai documenti da indicare specificamente, depone soltanto nel senso che il ricorrente debba limitarsi a valorizzare specificamente, nel quadro del ricorso introduttivo, quelli che, tra i documenti già prodotti, appaiono maggiormente idonei a sostenere la propria prospettazione (perché trascurati o non adeguatamente apprezzati dal giudice delegato).
In una diversa prospettiva, deve osservarsi che, soddisfatta dall’opponente la condizione prescritta dalla norma circa la specifica indicazione dei documenti prodotti, il tribunale in sede di opposizione è tenuto ad acquisire i documenti in questione, seppur non prodotti nuovamente in fase di opposizione, in quanto tali documenti, una volta allegati all’originaria istanza di ammissione al passivo, rimangono nella sfera di cognizione dell’ufficio giudiziario, inteso nel suo complesso, anche in tale fase.
In questa direzione merita di essere richiamata, sul piano sistematico, la ricostruzione operata dalle S.U. con sentenza n. 14475 del 2015 secondo cui “I principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata implicano, come si è sottolineato nella sentenza 23 dicembre 2005, n. 28498, che le prove acquisite al processo lo siano in via definitiva. Tali prove non devono essere disperse. Ciò vale anche per i documenti: una volta prodotti ed acquisiti ritualmente al processo devono essere conservati alla cognizione del giudice”, secondo il principio “che può essere definito di non dispersione della prova una volta che questa sia stata acquisita al processo”.
Anche se il richiamo al principio di non dispersione della prova viene operato, nell’indicato arresto, con specifico riguardo al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, che presenta una morfologia parzialmente differente rispetto al giudizio di opposizione allo stato passivo (venendo solo in quest’ultimo caso in rilievo un giudizio di natura impugnatoria: v. da ultimo Cass. n. 9617 e n. 7322 del 2016), è anche vero che il riferimento a tale principio appare tanto più pertinente anche per il giudizio ex art. 99 legge fall. quanto più si rifletta sulle novità che la disciplina prevista dall’art. 17 d.l. n. 179 del 2012, conv. in legge n. 221 del 2012 (nel testo sostituito dalla legge n. 228 del 2012), ha apportato al sistema di deposito delle domande di ammissione al passivo ed alla conseguente formazione del fascicolo d’ufficio.
Secondo la nuova disciplina, infatti, la presentazione della domanda di ammissione al passivo avviene mediante trasmissione all’indirizzo di posta elettronica certificata del curatore e deve essere accompagnata dalla trasmissione, secondo le stesse modalità, dei documenti dimostrativi del diritto del creditore (art. 93, commi 2 e 6, legge fall.) – eccettuati gli originali dei titoli di credito che vanno depositati presso la cancelleria del tribunale (cfr. l’ultimo inciso dell’art. 93, comma 2, legge fall.)-, sicché l’art. 99, comma 2, n. 4, allorché fa riferimento ai “documenti prodotti” dal creditore, va adesso coordinato con le nuove disposizioni che non prevedono più la formazione, nella fase sommaria, di un apposito fascicolo di parte ma semplicemente la trasmissione dei documenti alla p.e.c. del curatore (che successivamente provvede, tramite la cancelleria, a renderli disponibili, sempre mediante il sistema informatico, al giudice delegato per il successivo esame). La locuzione contenuta nell’art. 99, comma 2, n. 4 legge fall. deve -in definitiva-intendersi riferita ai documenti trasmessi a mezzo p.e.c. al curatore (oltre che ai titoli di credito depositati in originale presso la cancelleria del tribunale ed a quelli “nuovi” depositati al momento della presentazione del ricorso in opposizione).
Ne consegue che, una volta trasmesso alla p.e.c. del curatore e successivamente inserito nel sistema telematico, il documento probatorio appartiene ormai al fascicolo informatico della procedura (interamente sostitutivo del tradizionale sistema cartaceo, articolato sulla distinzione materiale tra fascicolo della procedura e fascicolo di parte), definito ai sensi dell’art. 9, comma 1, del d.m. 11.2.2011 n. 44 come il fascicolo destinato a raccogliere “gli atti, i documenti, gli allegati, le ricevute di posta elettronica certificata e i dati del procedimento medesimo da chiunque formati, ovvero le copie informatiche dei medesimi atti quando siano stati depositati su supporto cartaceo” e dunque, come si ricava dalla lettura dei successivi artt. 12 e ss., destinato a ricomprendere anche i documenti probatori (ivi compresi gli allegati non informatici, per i quali la cancelleria provvede comunque ad effettuare copia informatica e ad inserirla nel fascicolo informatico).
Il documento probatorio, dunque, una volta “depositato” dal creditore, entra a far parte dell’unico fascicolo della procedura e unitamente ad esso è destinato ad essere necessariamente acquisito -alla stregua di qualsiasi atto contenuto nel fascicolo d’ufficio- nella sfera cognitiva del giudice dell’impugnazione, alla sola condizione che sia stato specificamente indicato nel ricorso in opposizione.
È in questo senso, allora, che può e deve essere inteso il richiamo, operato in precedenza, al principio di non dispersione della prova, atteso che l’automatica migrazione dei documenti probatori all’interno del sistema del fascicolo informatico, secondo le nuove forme dell’ammissione al passivo di cui al d.l. n. 179 del 2012, reca con sé la necessità che quei documenti restino nella sfera di cognizione del giudice anche nella fase dell’opposizione.
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