Il caso deciso dalla Corte di Cassazione, sez.II, con la sentenza n.28346 del 18 dicembre 2013 riguardava una proprietà indivisa (proveniente da una successione ereditaria) tra alcuni soggetti legati da vincoli parentali, in cui uno dei coeredi vantava il possesso esclusivo animo domini di una parte dei beni (un appartamento), affermando di averlo usucapito.
Nel caso di compossesso – ha chiarito la Corte – non è necessaria una formale interversione del possesso e l’animus possidendi uti dominus può manifestarsi anche solo con comportamenti che lo rendono evidente.
In linea generale, la Suprema Corte richiamava i propri principi in materia, riaffermando:
a) che il coerede o il partecipante alla comunione può usucapire l’altrui quota indivisa della cosa comune estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività dimostrando l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo per il tempo prescritto dalla legge senza la necessità di compiere atti di interversio possessionis;
b) che il coerede che a seguito di messa a disposizione del compendio ereditario, sia stato immesso nel possesso di questo senza un mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, prende per tale via a possedere pubblicamente e a titolo esclusivo (dato che il rapporto materiale con il bene che si è venuto ad instaurare ha reso palese la manifestazione della volontà di non consentire agli altri coeredi di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario) e può, quindi, usucapire il cespite senza che sia necessaria una mutazione negli atti di estrinsecazione del possesso tale da escludere un pari godimento da parte degli altri coeredi. In particolare, l’art. 714 c.c. per l’usucapione del coerede non richiede atti di interversione del possesso, ma solo l’esercizio del possesso esclusivo.
Sulla base di tali principi, nella fattispecie oggetto di giudizio è risultato accertato che il coerede per tutto il periodo necessario ad usucapire e fin dal suo inizio aveva manifestato la sua intenzione di possedere l’appartamento in modo esclusivo.
In particolare:
a) nessuna contestazione è stata mai mossa dagli altri coeredi alla circostanza che il coerede-possessore sin dal 1970 si sia trasferito nell’appartamento sito al primo piano dell’edificio in questione e abbia goduto del bene in via esclusiva insieme alla moglie e alla figlia, circostanza confermata dagli altri coeredi che tuttavia attribuiscono l’esclusività del possesso esercitato al rispetto e alla riservatezza della nuova famiglia riconducibile a sentimenti di solidarietà familiare da parte dei parenti;
b) il coerede ha posto in essere tutti gli atti escludenti un concomitante analogo godimento del bene da parte degli altri soggetti e degli altri coeredi: 1) ha eseguito nell’appartamento opere di ordinaria e straordinaria amministrazione come il completo rifacimento del bagno con sostituzione della pavimentazione, dei sanitari e dell’impianto idrico, l’applicazione dei vetri termici agli infissi, l’installazione di nuovi avvolgibili in luogo delle precedenti imposte, il rifacimento del pavimento con inserimento del nuovo caminetto con rivestimenti in marmo; 2) ha assolto nell’intero arco temporale tutti gli oneri fiscali gravanti sull’immobile; 3) ha provveduto ad ottenere le autorizzazioni amministrative per la realizzazione delle notevoli migliorie.
Pertanto – concludeva la Corte – correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto che nel comportamento del coerede-possessore, sostanzialmente non contestato, non erano ravvisabili soltanto atti di gestione del bene comune consentiti al singolo coerede, bensì l’esercizio del possesso animo domini con la manifesta intenzione di non riconoscere nei confronti degli altri coeredi alcun diritto sul bene di cui si dice.
Cassazione civile sez.II, 18 dicembre 2013 n.28346
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