In tema di separazione e di divorzio, il diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento per il coniuge, così come il diritto agli assegni di mantenimento per i figli, in quanto aventi ad oggetto prestazioni autonome, distinte e periodiche, non si prescrivono a decorrere da un unico termine rappresentato dalla data della pronuncia della sentenza di separazione o di divorzio, ma dalle singole scadenze delle prestazioni dovute, in relazione alle quali sorge di volta in volta il diritto all’adempimento.
Va sfatata, dunque, la ricorrente opinione che vuole che, decorsi dieci anni dalla sentenza di separazione o divorzio, il detto diritto sia prescritto.
La Cassazione ha affermato che il termine di prescrizione dei ratei mensili è di 5 anni, ai sensi dell’articolo 2948 del Codice civile, e che tale prescrizione può essere interrotta anche con una semplice lettera raccomandata che valga a mettere in mora il debitore.
Tuttavia, l’obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento del figlio anche dopo la maggiore età di quest’ultimo, obbligo perdurante fino a quando il figlio acquisisca l’idoneità ad inserirsi nel mondo del lavoro, così conseguendo l’indipendenza economica, viene meno allorché il figlio sia stato avviato ad un’attività lavorativa tale da consentirgli una concreta prospettiva di autonomia economica, ovvero allorché il figlio sia stato messo in condizione di reperire un lavoro idoneo alle attitudini del figlio stesso ed alle sue esigenze economiche, od anche allorché il figlio abbia ricevuto dai genitori la possibilità di conseguire un titolo sufficiente all’esercizio di una attività lucrativa, se esso di fatto non abbia voluto approfittarne, ovvero allorché il figlio abbia raggiunto un’età tale da far presumere il raggiungimento della capacità di provvedere a se stesso, salvo il caso di grave, inibente, minorazione fisica o psichica, ovvero infine, allorché il figlio si sia inserito in altri nuclei familiari o comunitari, in tal modo interrompendo, comunque, il suo legame e la sua dipendenza materiale e psicologica dalle figure parentali.
Non ha perciò diritto al mantenimento il figlio maggiorenne scarsamente motivato o per nulla intenzionato a dedicarsi ad attività remunerativa, ovvero il figlio dedito ad attività sterili, frutto di scelte velleitarie, data la carenza di effettive, adeguate capacità, o di valutazioni della situazione occupazionale del settore prescelto dettate da aspirazioni non conformi a realtà, fermo restando che la valutazione e qualificazione delle circostanze che giustificano il ricorso all’obbligo di mantenimento dei genitori vanno effettuate caso per caso, con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età del figlio beneficiario, allo scopo di impedirne forme di vero e proprio parassitismo di giovani e non più giovani ai danni di genitori sempre più anziani.
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