La vendita di immobile destinato ad abitazione, senza certificato di abitabilità, incidendo sull’attitudine del bene venduto ad assolvere la sua funzione economico-sociale, si risolve nella mancanza di un requisito giuridico essenziale ai fine del legittimo godimento del bene e della sua commerciabilità e, configurando un’ipotesi di vendita di “aliud pro alio“, legittima l’acquirente a domandare il risarcimento dei danni, per la ridotta commerciabilità del bene (Cass. Civ. n.17707 del 29 agosto 2011). In qualche caso si è giunti anche a ritenere che questa carenza sia idonea causa di risoluzione per i contratti di vendita definitivi (e non solo preliminari).
Il diritto dell’acquirente all’indennizzo da mancato rilascio del certificato di abitabilità si prescrive decorso il termine di dieci anni dalla stipula del contratto o dalla fissazione da parte del giudice di un diverso termine per adempiere. Il successivo rilascio, anche in corso di causa, di tale certificato esclude la possibilità stessa di configurare l’ipotesi di vendita di “aliud pro alio” e di ritenere l’originaria mancanza di per sé sola fonte di danni risarcibili.
In ipotesi, è giustificato il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune, nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore .
Nella locazione, la mancanza delle autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità del bene sotto il profilo edilizio – e, in particolare, la sua abitabilità e la sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale – costituisce inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1578 c.c., a meno che il conduttore non sia a conoscenza della situazione e l’abbia consapevolmente accettata mediante l’utilizzo del bene; né assume rilievo il fatto che il locatore – riconoscendo implicitamente il proprio inadempimento – abbia presentato domanda di concessione in sanatoria e che sulla relativa istanza non ci sia stato ancora un pronunciamento definitivo.
Il D.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, art. 4 prevede infatti che “1. Affinchè gli edifici, o parti di essi, indicati nel R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 220, possano essere utilizzati, è necessario che il proprietario richieda il certificato di abitabilità al sindaco, allegando alla richiesta il certificato di collaudo, la dichiarazione presentata per l’iscrizione al catasto dell’immobile, restituita dagli uffici catastali con l’attestazione dell’avvenuta presentazione, e una dichiarazione del direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato, l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti. 2. Entro trenta,giorni dalla data di presentazione della domanda, il sindaco rilascia il certificato di abitabilità; entro questo termine, può disporre una ispezione da parte degli uffici comunali, che verifichi l’esistenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata abitabile. 3. In caso di silenzio dell’amministrazione comunale, trascorsi quarantacinque giorni dalla data di presentazione della domanda, l’abitabilità si intende attestata. In tal caso, l’autorità competente, nei successivi centottanta giorni, può disporre l’ispezione di cui al comma 2 del presente articolo, e, eventualmente, dichiarare la non abitabilità, nel caso in cui verifichi l’assenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata abitabile. 4. Il termine fissato al comma 2 del presente articolo, può essere interrotto una sola volta dall’amministrazione comunale esclusivamente per la tempestiva richiesta all’interessato di documenti che integrino o completino la documentazione presentata, che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione, e che essa non possa acquisire autonomamente.5. Il termine di trenta giorni, interrotto dalla richiesta di documenti integrativi, inizia a decorrere nuovamente dalla data di presentazione degli stessi”.
In giurisprudenza di legittimità si è già affermato che, atteso il tenore della sopra trascritta norma ed in assenza di patto contrario, incombe all’alienante o disponente (con riferimento al venditore, cfr. Cass., 4/11/1995, n. 11521; Cass., 26/1/1995, n. 953; Cass., 17/12/1993, n. 12507) l’obbligo di curare l’ottenimento del certificato di abitabilità, posto a tutela delle esigenze igieniche e sanitarie nonchè degli interessi urbanistici, richiedenti l’accertamento pubblico della sussistenza delle condizioni di salubrità, stabilità e sicurezza dell’edificio (v. Cass. pen., 7/2/1997, n. 4311), attestante l’idoneità dell’immobile ad essere “abitato” e più generalmente ad essere frequentato dalle persone fisiche.
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